Secondo quanto emerge dal report sull’esposizione al mercato russo delle regioni italiane realizzato da Prometeia, le esportazioni verso il paese sono del 1,8% del totale.
Sulla base dei dati Istat del quarto trimestre 2021 le esportazioni verso la Russia equivalgono quindi a 7,7 miliardi di euro.
Tra i settori più esposti vi sono abbigliamento, fabbricazione di altre macchine di impiego generale e i mobili. In modo indiretto sono invece i settori energivori quelli più esposti alla guerra commerciale e al rialzo dei prezzi: produttori di acciaio e alluminio, fonderie, cementifici, ma anche laboratori artigiani, produttori di vetro e ceramiche nonché le cartiere.
Già alla fine del 2021 le aziende di questi settori avevano ricevuto bollette molto più alte rispetto ai mesi precedenti e la situazione è peggiore dopo l’invasione russa in Ucraina. In particolare, le difficoltà hanno esposto agli effetti negativi delle variazioni dei costi di produzione non preventivabili.
La prima mossa di molte aziende è stata limitare la produzione allo stretto necessario, mentre in altri casi, in assenza di alternative alcune sono state costrette a chiudere temporaneamente intere linee produttive e chiedere la cassa integrazione dei lavoratori.
Umbria, Marche e Calabria le regioni italiane più esposte alla Russia
Il danno si concretizza anche a causa della diminuzione di acquisti all’estero derivante dalla mancanza di circolazione del turismo russo. In regioni come Emilia Romagna e l’Umbria, il settore della moda è l’industria più esposta con la Russia rappresentativa del 15% dell’export della regione. Le Marche mostrano la propria fragilità nel settore delle calzature. Qui le esportazioni raggiungono gli 81,6 milioni di euro e sono pari l’8% del totale. In Calabria, le esportazioni verso la Russia di altre macchine di impiego generale costituiscono circa 3,2 milioni di euro e delineano il 47% delle esportazioni settoriali totali.
L’impatto diretto delle sanzioni alla Russia, sull’export italiano rimane tuttavia complessivamente modesto. Secondo Confindustria il blocco riguarda 686 milioni di euro di vendite ed è pari all’8,9% dell’export italiano nel paese. Le preoccupazioni maggiori riguardano quindi specifici prodotti come quelli sopra elencati e la prospettiva di rallentamento dell’import export di 5 punti nel 2022.
L’influenza della Cina nel commercio con l’Italia e le alternative nel Sud America per gli investimenti
Lo scenario che si profila mette in discussione anche i rapporti commerciali con la Cina. Sebbene attualmente il Paese non ha preso posizione ufficiale nel conflitto con l’occidente, un asse più definito può futuro avere conseguenze importanti anche per l’Italia. Questo scenario ha portato diverse aziende che lavorano in loco, benché non ancora toccate da problematiche imminenti, a rivedere i propri piani strategici. Un appoggio cinese alla Russia rappresenterebbe un problema rilevante che costringe alla creazione di un piano B. In relazione a ciò in ottica di diversificazione sono state individuate alternative in Sud America e in particolare in Brasile.
Il Brasile ha un sistema che consente degli investimenti in varie attività ed è particolarmente aperto ad accogliere, anche per ragioni culturali, l’investimento italiano. Il Brasile è un Paese con grandi potenzialità e stabilità economica che consente alle aziende di pensare a degli investimenti di medio e lungo periodo. Tra le grandi aziende operanti in Brasile c’è ad esempio Enel, riconosciuta tra quelle più qualificate nel Paese. La presenza di una moneta non ancora altamente apprezzata può consentire alle imprese italiane di realizzare un buon investimento approfittando anche della forza valutaria dell’euro.