Lavoro e mancanza di personale; le cause degli squilibri del mercato del lavoro sono da imputare a una mancanza di potere contrattuale dei lavoratori e di stipendi troppo bassi.
Non è colpa del reddito di cittadinanza, che comunque punta all’inserimento nel mondo del lavoro di coloro che ne usufruiscono.
Contrariamente a quanto affermano taluni imprenditori ed esponenti politici, chi non riesce a trovare personale disposto a lavorare è esposto a un livellamento di contratti e stipendi che ha assorbito velocemente l’offerta disponibile. Assistiamo ad un disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, e questo sarebbe dovuto soprattutto a salari troppo bassi e all’eccessivo uso di contratti a termine. Questo avviene in particolare nel settore turistico alberghiero che per la stagione estiva è in difficoltà.
È quanto emerge dal report di area studi Legacoop e Ipsos FragilItalia realizzato su un campione di 800 persone di età compresa tra i 18 ed i 65 anni. Per il 65% le offerte di lavoro presentano stipendi troppo bassi in particolare per gli over 50. In assenza di un intervento sull’adeguamento del salario minimo, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro rimane esposto alle dinamiche di mercato.
Il ricorso massiccio a contratti a tempo determinato ha reso difficile reperire personale. Il 49% ritiene infatti che sia questa la causa principale della difficoltà. C’è poi un 35% circa che ritiene che “le persone non sanno adattarsi e cercano il lavoro ideale”. In questo caso la percentuale sale al 41% tra gli over 50 e scende al 29% tra gli under 30.
Bisogni, speranze e stili di vita desiderati non trovano corrispondenza con la realtà del mondo del lavoro odierno. Da un lato il lavoro continua a essere una grande preoccupazione per gli italiani, con l’esigenza di stabilità e sicurezza economica. Dall’altro quando c’è, il problema diventano contratti e paghe non adeguate al costo della vita o alla mansione svolta.
L’indagine Legacoop Ipsos ha rilevato che in testa alle aspettative del campione ci sono dopo la stabilità e il trattamento economico, indicato dal 39%, tempo libero e gli orari flessibili, nonché la possibilità di smart working indicato dal 17% degli intervistati.
Una percentuale piuttosto alta degli intervistati, pari al 39%, ritiene che un cambio di direzione possa essere ottenuto incentivando il rientro in patria delle società che hanno delocalizzato all’estero. Se questa opzione appare oggi inverosimile, è sicuramente più facile parlare di adeguamento delle paghe. In Italia gli stipendi non crescono a sufficienza anzi, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari sono addirittura scesi dalla fine del secolo scorso e la situazione non sembra destinata a cambiare.
La situazione è fotografata dal bollettino di Bankitalia da cui emerge chiaramente come l’aumento salariale in Europa non abbia avuto un riscontro nel nostro paese. Nonostante l’inflazione l’esiguità degli stipendi in molti settori continua ad essere una grande preoccupazione. Le eccezioni in Europa sono rappresentate da paesi con un economia non troppo dissimile dalla nostra; in Francia lo scorso anno sono stati introdotti tre incrementi degli stipendi, con una crescita del 5,9%. E i sindacati puntano a raggiungere i 2 mila euro mensili.
In Spagna il salario minimo è salito da gennaio e con effetto retroattivo, 1.000 euro con 14 mensilità. Anche in Portogallo, dove i salari sono più bassi, la richiesta è di alzare il minimo da 705 a 800 euro.
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