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Economia e Finanza

Lavoro a termine, se il datore di lavoro lo blocca prima della scadenza, quali penalizzazioni sono previste?

Arriva l’estate. Una stagione che porta con sé una crescita esponenziale del lavoro a termine. Una metodologia ad hoc per compensare il fabbisogno di manodopera dei datori di lavoro.

Sebbene in questa stagione sia sempre viva la richiesta di assunzioni a termine, in certe circostanze potrebbe sorgere la necessità di una risoluzione preventiva delle prestazioni, un fine rapporto precedente i termini di scadenza. Una decisione presa per volontà di entrambe le parti contrattuali.

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Avendo presente la risoluzione consensuale, quali sarebbero le modalità cui affidarsi per una risoluzione anticipata? Quali sarebbero le occasioni in cui si potrà imputare al datore di lavoro l’onere del risarcimento del danno al dipendente per il recesso anticipato?

La bella stagione è senz’altro quel periodo dell’anno in cui i contratti a termine e quelli stagionali vanno per la maggiore. Si presentano, specie per alcuni comparti essenziali dell’economia italiana, come una vera e propria quint’essenza. E, in casi ancora più specifici, rappresentano la sola metodologia contrattuale a cui affidarsi.

Contratto a termine, la sua natura e la risoluzione consensuale

Il contratto di lavoro a termine svolge il suo corso in un arco di tempo circoscritto, il cosiddetto tempo determinato, determinabile. È la sua natura che glielo impone.

Non per questo non vi potrebbe essere o non potrebbe sorgere, come in qualsiasi altra relazione di lavoro, la necessità o l’urgenza di una risoluzione anticipata. Anche in questa circostanza andrebbe preventivata una potenziale chiusura del rapporto prima della scadenza e a richiederla potrebbe essere ciascuno dei soggetti contraenti.

Un contesto del genere vedrebbe nella risoluzione consensuale il suo più roseo e naturale epilogo. Siamo di fronte a un accordo tra le parti. In questi termini viene delineata la determinazione reciproca alla risoluzione del contratto lavorativo prima della scadenza. Non solo, con tale risoluzione ci si esonera a vicenda da qualsiasi altro possibile vincolo o cavillo contrattuale.

Non sempre però si giunge a un comune accordo. La volontà di risoluzione potrebbe essere figlia di una sola delle due parti contraenti. E allora in che modo sarà possibile una risoluzione anticipata?

Recesso e la questione del periodo di prova

Il contratto a tempo determinato, qualora siglato, potrebbe concludersi già durante il periodo di prova, ovviamente se segnalato ufficialmente sul documento. (Art. 2096 del c.c.)

L’apoteosi sarebbe la messa a sistema del decreto legislativo di recepimento della direttiva UE 2019/1152. Lo schema prevede che nei contratti di lavoro a termine le tempistiche del periodo di prova debbano essere proporzionate a quelle attese dal contratto e dalla tipologia dell’impiego.

Nel frattempo che tale decreto prenda ufficialmente vigore, sarà possibile applicare al contratto a termine il patto di prova. Ovviamente il tutto accompagnato dalla forma scritta e dalla preventiva firma da parte del dipendente.

La suddetta prova allegata al contratto a termine potrebbe essere anche apertamente attesa contratto collettivo.

Qualora fosse assente, la tempistica della prova andrà a equilibrare gli interessi datoriali alla equa e coerente stima del’attività prestata (e, allo stesso modo, l’opportunità del lavoratore a proseguire quella medesima collaborazione) con l’essenziale proporzionalità tra tempistiche, da un lato del contratto a termine, dall’altro del periodo di prova. In maniera consequenziale, affinché se ne garantisca la validità, sarà fondamentale che la prova non abbia uguale durata del contratto a tempo determinato a cui fa riferimento.

Recesso per giusta causa

Per quanto riguarda la relazione di lavoro avente contratto a tempo determinato, non si riscontra, difatti, applicazione per quel che è atteso dall’art. 2118 c.c. Si tratta dell’eventualità di recedere dal rapporto di lavoro da ciascuna delle parti in causa, rispettando le tempistiche di preavviso previste dal contratto collettivo applicato alla relazione di lavoro. (Art. 2119 del c.c.)

È contemplata l’eventualità si un solo recesso. Il legislatore accoglie tale circostanza unicamente in caso di giusta causa. In questo caso si intende un evento di tale pregnanza da far decadere il patto fiduciario sussistente tra le parti, tanto da non garantire il proseguimento, nemmeno momentaneo, del rapporto di lavoro.

Giusta causa potrebbe abbracciare condotte o inosservanze attribuibili:

al datore di lavoro (dimissioni per giusta causa). Allorché si verifichino queste inadempienze il lavoratore potrà svincolarsi seduta stente, avendo anche diritto a ricevere l’indennizzo sostitutivo del preavviso (oltre la NASPI)

al lavoratore (licenziamento per giusta causa). Concluso l’iter disciplinare, si passerà  al recesso senza preavviso e senza annesso risarcimento sostitutivo.

Sempre per le circostanze relative alla giusta causa, scienza giuridica e contrattazione collettiva (per le ipotesi di licenziamento) hanno riconosciuto diverse fattispecie

Dimissioni per giusta causa:

– Mancato pagamento della retribuzione o della contribuzione obbligatoria, prolungato nel tempo

– Mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro

– Mancato rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro

– Illegittimo demansionamento

– Illegittima decurtazione della retribuzione

– Comportamento penalmente rilevante

– Mobbing

– Molestie

– Discriminazioni

Licenziamento per giusta causa:

– Mancata prestazione lavorativa

– Assenza ingiustificata prolungata nel tempo

– Grave insubordinazione

– Ripetuta disobbedienza

– Violazione dell’obbligo di fedeltà e diligenza

– Fatti penalmente rilevanti (furti, truffe, ingiurie, violenze, lesioni, aggressioni nei confronti del datore e colleghi).

In assenza di giusta causa?

Il datore di lavoro non può procedere con la recessione del contratto nemmeno nell’ipotesi di motivazioni legate agli iter produttivi o all’organizzazione della società (GMO), si veda l’inapplicabilità dell’art. 3 della l. n. 604/1966.

Stando alla Cassazione (10 febbraio 2009, n. 3276) difatti

«qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato».

Analoga circostanza anche per il lavoratore. Sarebbe da considerare il fatto che una risoluzione che anticipi i termini potrebbe in ogni caso rappresentare una sorta di inosservanza contrattuale. Ragion per cui potrà dare credito a una risarcitoria ai danni del lavoratore inosservante.

Il dipendente, del resto, venendo meno con anticipo sui termini e le tempistiche pattuite, andrà a ledere gli interessi del datore di lavoro che, forte di quell’assunzione, aveva programmato la sua produzione su una specifica durata della relazione contrattuale.

Quali conseguenze in caso di licenziamento GMO o di dimissioni?

Dato per assodato il valore e la regolarità dei contratti a termine, gli elementi sanzionatori in dote al datore di lavoro riguardano il vincolo al risarcimento del danno al dipendente. Un risarcimento che ha una quantificazione ben specifica: ossia le indennità che il lavoratore avrebbe ottenuto dalla data del licenziamento fino allo scadere effettivo del contratto.

Tale parametro di risarcimento, a detta dell’attuale giurisprudenza, sarebbe idoneo sia a compensare il danno emergente sia il profitto cessante.

Nel caso in cui la chiusura anticipata del rapporto sia originata da una dimissione del lavoratore, secondo alcuni tribunali, si adotterà il criterio dell’equità, asserendo come quantum che si valorizza, citando l’art. 2118 c.c., il valore dell’indennizzo sostitutivo del preavviso.

Il tutto prendendo in considerazione l’onere della prova a carico del datore di lavoro di certificare il danno causato nei suoi confronti dalla suddetta inadempienza.

Risarcimento danno per il lavoratore: Retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito alla data del licenziamento alla scadenza naturale del rapporto;

Risarcimento danno per il datore di lavoro: Onere della prova a carico del datore – riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Marco Scarfiglieri

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