Il prezzo del latte continua a lievitare, mentre le imprese del settore sono prossime al blackout.
Proviamo a capire come sia possibile che un fiore all’occhiello della nostra economia sia sull’orlo della crisi.
In una estate rovente distinta dalla imprevista campagna elettorale e dalle molteplici novità messe in campo dal governo Draghi, non si contano le problematiche che si rilevano nella vita economica degli italiani.
I problemi legati alla spesa dei cittadini raccontano della crisi di diversi prodotti, si pensi solo all’acqua gasata o alla birra. Ad aggravare il contesto la siccità che ha colpito durante la stagione estiva l’intero globo. La più grave carenza d’acqua piovana da 70 anni a questa parte, una crisi che ha contribuito a mandare alle stelle i costi per le materie prime, esponendoci al pericoli di importanti carenze.
Analizziamo quanto accade alla filiera del latte. Sono diverse settimane, anche per via del conflitto in Ucraina, che i prezzi proseguono la loro crescita, mentre i costi dei prodotti conclusi non aumentano o quasi. A segnalare questa realtà è Assolatte, che raduna circa 250 imprese impegnate nella trasformazione del latte. Un insieme che equivale a circa il 90% del mercato italiano.
Assolatte sottolinea come la distribuzione insista col frenare, proponendo offerte e costi eccessivamente ridotti, sobbarcando alle industrie la gran parte degli aumenti in partenza. Un contesto definito a dir poco intollerabile.
Senza considerare anche quella tremenda circostanza paragonata a uno “tsunami” che ha travolto gas, energia e imballaggi, con crescite esponenziali perfino a due e a tre cifre. In definitiva, il latte sta raggiungendo stime che mai ci si sarebbe immaginati.
Per addentrarci meglio nella problematica affidiamoci ai numeri: nel 2021, in questo medesimo frangente annuale, lo spot sfiorava a stento i 39 centesimi, il latte alla stalla ne valeva 38.
Attualmente, il primo è cresciuto del 66% e muove su stime al di sopra dei 65 centesimi, il secondo ha lambito una salita del 42%, spingendo verso i 55 centesimi.
Le cose non andranno diversamente di qui in avanti. Lo spot proseguirà la sua ascesa, i contratti per la stagione autunnale saranno più esosi, il costo del latte alla stalla perverrà addirittura a quota 60 centesimi.
Uno scenario angusto che Assolatte ha previsto per Lombardia e Nord Italia in generale. Al Mezzogiorno potrebbero passarsela persino peggio, con prezzi del latte ancora più elevati.
Di fondo vi è un canovaccio identico per l’intero comparto alimentare. I prezzi salgono. Fondamentali, in negativo, l’exploit del gas, +653% in 365 giorni, dell’energia, +236%, e degli imballaggi, con la plastica oggi costa il 26% in più rispetto al 2021.
Problematiche di prezzo che si sommano, denuncia Assolatte, a quelle connesse alle recenti disposizioni sulle prassi sleali e le attinenti tempistiche di versamento delle fatture.
Innanzitutto sarebbe necessario attribuire al cibo di qualità una stima consona. Attualmente le nostre famiglie per acquistare latte e i suoi derivati investono mediamente 60 centesimi al giorno a persona. Il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti, ritiene che prodotti di tale portata qualitativa, invidiati in tutto il mondo, meritino una adeguata valorizzazione sugli scaffali della distribuzione. Il prezzo, in sintesi, sarebbe troppo basso.
Le aziende pretenderebbero una crescita di prezzo da 60 a 80 centesimi per consumo medio. I costi dei prodotti conclusi sono aumentati decisamente meno di quelli di produzione. Le ultime indicazioni presentano un surplus annuale del +8,2.
Un ulteriore crescita della materia prima significherebbe quasi certamente cortocircuito dell’intera filiera lattiero casearia. Con la conseguente chiusura di numerose aziende. Servirebbe un equo riconoscimento per le aziende di trasformazione, un autentico motore economico di Paesi, regioni e territori.
La questione ovviamente è connessa alla problematica della siccità. In alcuni territori italiani, si veda la Lombardia, si segnala una carenza di produzione lattiera del 40% per via delle levate temperature.
A pesare su un quadro già complesso, incide anche un altro fattore: gli allevatori si sono visti obbligati a variare le porzioni alimentari a causa dell’exploit dei prezzi delle materie prime (basti pensare solo a soia e proteine), distribuendole con meno concentrazione.
Con l’intento di arginare l’incidenza degli aumenti del latte nell’intero territorio italiano, Assolatte ha presentato già da tempo una proposta: portare a zero l’Iva sui prodotti del comparto, a oggi registrata al 4% (sia per il latte che per altri prodotti a rischio).
Gli allevamenti vivono una notte oscura in tutto il Paese. Non che in Europa la situazione sia migliore. in tutta Italia. Anche a uova e carne spetta lo stesso destino. Il costo della carne nell’UE a giugno è cresciuto del 12%, un balzo che ha scardinato tutti record. Una parentesi all’insegna della sofferenza per tutto il comparto agricolo. Le ricerche in corso hanno esposto crescite da capogiro: +170% per i concimi, +90% per i mangimi , +129% per il gasolio.
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