Sempre più in Ue e specialmente in Paesi come l’Italia le famiglie dovranno abituarsi agli eventuali compromessi di un’economia che si regge sui sussidi del Governo.
Purtroppo molti i segnali che provengono dall’economia reale che confermano che probabilmente i mercati non torneranno nel breve termine ai precedenti massimi.
Molti investitori sono ancora convinti che il crollo attuale dei mercati sia tutto in correlazione con l’aumento dei tassi di interesse. La verità è che se la Fed dovesse fermare il rialzo dei tassi, il trend dovrebbe fare ancora i conti con un’economia vicina se non già in recessione.
Tutto ciò che viviamo oggi in termini di crisi non è un fenomeno transitorio. Non lo è sul breve termine, ciò significa che i prossimi due o tre anni saranno tempi difficili? Può esserlo sicuramente per la crisi energetica, primo driver insieme agli alimentari dell’elevata inflazione.
La crisi energetica era iniziata già prima del conflitto in Ucraina per motivi legati alla transizione energetica e l’improvvisa domanda dovuta alla fine dei lockdown. I prezzi dell’energia avevano iniziato a salire mesi prima della guerra e potranno continuare a influire sui conti pubblici anche dopo la sua fine. Per capire la spesa occorsa a calmierare i prezzi al dettaglio; In due settimane abbiamo liberato 30 miliardi di euro solo per coprire il costo delle bollette.
Lo choc inflattivo è probabilmente destinato a subire un effetto trascinamento nel tempo e al momento non può essere correttamente valutato; rischia di essere sottostimato dai Governi attuali. Secondo uno studio che prende in considerazione le serie storiche compiuto dagli economisti di Deutsche Bank, quando il tasso d’inflazione sale oltre il livello dell’8% ci vogliono in media due anni per farlo ridiscendere sotto il 6%.
Possiamo aspettarci quindi un’inflazione ancora vicina al 10% per tutto il 2023. Se queste previsioni fossero corrette, oltre a essere in netto contrasto con le aspettative dei mercati, confermerebbero il danno a lungo termine delle politiche monetarie e in primo luogo della guerra commerciale con la Russia.
L’eurozona difficilmente tornerà in equilibrio prima di due o tre anni. Per famiglie e aziende ci sarebbe poco da sentirsi spalleggiati; il Governo non potrebbe sostenere il costo del finanziamento dei sussidi per lunghi periodi. Mentre si cede la sovranità per riuscire a rimanere nei vincoli di bilancio la tendenza può essere compensata solo in due modi; aumentare produzione e incrementare le vendite oppure ridurre i costi di produzione per abbassare l’impatto su prezzi e profitti. Non sembrano ipotesi realistiche senza un’economia reale che supporti la domanda o un Pil in grado di contrarsi rimanendo nell’ambito della crescita.
Come già più volte sottolineato negli ultimi 15 anni abbiamo costruito un sistema adeguato a vivere in un contesto di tassi a zero, bassa inflazione, bassa crescita salariale e domanda finanziata dal debito. Ci troviamo ora impreparati.
Dopo la crisi del 2008 il sistema è ripartito esattamente dallo stesso meccanismo che aveva l’aveva provocata: debito per finanziare la domanda. La domanda finanziata ha gettato le basi per la crescita immobiliare del 2004/2007 e, nell’ultimo ciclo, per il grande boom dei consumi interni. Il debito estero Usa è passato dal 45% del PIL a fine 2007 al 90% del PIL alla vigilia del 2020.
Il problema principale di questo modo di procedere è che non può permettersi una contrazione dei finanziamenti e dell’indebitamento senza incidere sui consumi e sul Pil avviando se protratto a lungo un effetto a spirale. Tutto ciò rende il modello estremamente esposto alla creazione di bolle finanziarie. La crisi sempre maggiore della vita politica, della democrazia e del ruolo delle banche centrali percepite come inadeguate.
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