Tensioni geopolitiche accrescono l’avversione al rischio degli investitori; in gioco la sicurezza delle nazioni dopo il riconoscimento ufficiale di 4 regioni ucraine tra i territori di Mosca.
Lievitano in modo consistente i rischi di un’escalation dopo l’annessione delle 4 regioni ucraine che diventano ufficialmente parte della Russia. Il pretesto per un ingresso diretto in guerra è dietro l’angolo.
L’evento più significativo della giornata è la cerimonia di questo pomeriggio con cui i 4 nuovi territori ucraini, Zaporizhzhia, Kherson, Donetsk e Lugansk sono entrati a far parte della Federazione Russa. Con questo evento il presidente Putin avrà modo di lanciare un ultimatum entro cui pretendere il totale ritiro ucraino dai territori annessi. Successivamente la Russia avrà il diritto formale di difendere il territorio russo con tutti gli armamenti disponibili.
L’Ue e gli Usa hanno già detto che non riconosceranno l’annessione di questi territori alla Federazione russa. E sempre oggi il Consiglio di sicurezza dell’ONU voterà una risoluzione che condanna l’annessione.
Movimentare i portafogli senza alternative sicure su cui puntare
È su questo scenario che gli investitori cercano di movimentare i portafogli e gli analisti riducono ulteriormente le previsioni di crescite nei prossimi due trimestri. La regione più colpita dai ribassi è oggi l’Asia, con vendite generalizzate a Tokyo, Hong Kong e Shanghai, che arretra nonostante a settembre l’attività manifatturiera della Cina sia salita a sorpresa, dopo due mesi di cali consecutivi.
In discesa anche i future a Wall Street e quelli in Europa dato lo stupore del dato sull’inflazione tedesca arrivato a settembre a toccare il 10%. È il massimo dal 1951 con i prezzi energetici che registrano un aumento del 43% su base annua. Lo ha riferito l’istituto di statistica federale. Questa mattina i responsabili dei maggiori istituti economici del paese, hanno annunciato che la Germania si avvia verso la recessione con una ripresa stimata ai dati attuali solo nella prossima primavera.
Per gli Stati Uniti si conferma la stima definitiva del dato del secondo trimestre, che segnala l’inizio di una recessione. Il presidente della Fed di St.Louis, Bullard, ha sottolineato che per contrastare il persistere dell’inflazione i banchieri centrali sono orientati a portare avanti un discreto numero di nuovi rialzi dei tassi. Secondo gli analisti di Wells Fargo la Federal Reserve dovrebbe portare il suo intervallo di riferimento sui tassi tra il 4,75% e il 5% entro il primo trimestre del 2023. La stessa linea di politica monetaria sarà seguita in Ue dalla BCE.
Mentre i rendimenti dei titoli di Stato Usa allettano gli investitori più propensi al rischio con un rendimento vicino al 4% le perdite peggiori si registrano sul listino Usa più volatile, il Nasdaq con i titoli tecnologici che cedono complessivamente il 2,84%.
Mercati Europa, FTSE Mib e spread
In Ue invece è la Borsa di Milano a segnare il risultato peggiore chiudendo la seduta di ieri in calo del 2,40%. Lo spread tra BTP e Bund rimane intorno a quota 245 punti base. Fuori dall’Unione europea invece il Regno Unito sembra voler proseguire con una politica controversa di tagli fiscali finalizzati a stimolare l’economia ma che hanno nei giorni scorsi affossato la sterlina. Dopo essere scesa ai minimi da 37 anni, le misure d’emergenza prese dalla Banca centra inglese hanno comunque stabilizzato i mercati valutari e frenato la sterlina a quota 1,1 contro il dollaro.
Il destino di petrolio e gas
Rimane stabile e basso il prezzo del petrolio nettamente sotto I 90 dollari. Gli investitori possono sperare in un rialzo ai primi di ottobre a seguito di un possibile taglio della produzione da parte dei Paesi Opec+.
Diventa turbolento invece il destino del gas; la Commissione europea propone che l’Ue si impegni per raggiungere, in tempi ragionevoli, un’intesa comune per ridurre i prezzi, salvaguardando al contempo la sicurezza dell’approvvigionamento. Allo stesso tempo i Paesi devono collaborare per imporre un tetto del gas importato in Ue che rischia di far aumentare ulteriormente i prezzi di mercato a causa della riduzione dei fornitori disponibili. A spingere sulla proposta 15 Stati membri, tra cui: Italia, Francia, Polonia, Spagna, Portogallo e Belgio. I Paesi avevano scritto alla Commissione sollecitando un price cap sul gas generalizzato, indicandolo come una priorità.