Il fondo monetario fa sapere in un rapporto dal titolo “La nebbia della guerra offusca l’outlook europeo”, come cambia il Pil per Italia ed Eurozona questo inverno.
Secondo le stime dell’istituto di Washington rilasciate ieri, non c’è spazio per l’incertezza circa gli effetti delle guerre in corso; quella economica contro la Russia e quella sul terreno dell’Ucraina.
Si tratta di dati che vanno anche a supporto degli effetti controversi delle politiche monetarie restrittive; la crescita del Pil rallenta con un’inflazione che non è ancora tornata a livelli accettabili.
Le stime proiettano una crescita confermata per il 2022 al 3,2% a livello globale; quella stimata per il 2023 subisce un taglio al 2,7%, rispetto al 2,9% previsto a luglio. Esclusa la crisi innescata dal Covid si tratta della crescita più debole dal 2009.
Il Fondo Monetario Internazionale ha valutato come più della metà dei paesi della zona euro coinvolta dalle vicende internazionali, tra materie prime e inflazione, sperimenterà una recessione tecnica. In parole povere ciò significa almeno due trimestri consecutivi di crescita negativa. Tra i Paesi più colpiti, secondo le proiezioni, spiccano l’Italia e Germania. Da Washington spiegano che vivremo ben tre trimestri consecutivi di contrazione a partire dal terzo trimestre del 2022.
I primi sei mesi del 2023 in Italia saranno in recessione
Per il 2023 è prevista una contrazione complessiva dello 0,2% per una crescita che si presenterà nuovamente solo nell’anno successivo. Il peggio, quindi, deve ancora arrivare; la potente destabilizzazione alimentata dalla guerra in Ucraina ha portato le stime del FMI al 25% rispetto le probabilità che la crescita globale scivoli sotto il 2%.
Si tratta di un evento storico che è accaduto in media una volta ogni dieci anni negli ultimi cinquanta. Sebbene la situazione possa volgere al meglio nel 2024 nulla esclude che le stime da qui a un anno possano ulteriormente variare. Sarà per quest’anno in mano tutto al nuovo governo impegnato a sbrogliare riforme fondamentali. Tra queste quella del fisco e delle pensioni, quest’ultima impensabile da procrastinare.
Il peso dell’economia sulla riforma delle pensioni
La Meloni dovrà quantomeno, limitare i danni evitando che subentri ancora la legge Fornero. Per fare del proprio meglio il Governo propone due soluzioni; continuare a tenere Quota 102 o estendere Opzione Donna a tutti i lavoratori.
Nel dettaglio sarà opportuno differenziare i casi e le situazioni pensando a soluzioni che meglio si adattano ai vari profili professionali. La motivazione è semplice; Opzione Donna è stata introdotta in via sperimentale nel 2004 con l’obbiettivo di unificare i requisiti del pensionamento delle donne a quello degli uomini. Dal 1992 a oggi, l’età di vecchiaia delle dipendenti del settore privato è passato da 55 a 67 anni.
La vera convenienza di scegliere l’opzione donna è il largo anticipo che permette alla lavoratrice che può andare in pensione a partire dai 58 anni; riesce ad anticipare la pensione di vecchiaia di circa 9 anni. A livello economico, invece, si tratta di una misura poco conveniente perché gli anni di lavoro vengono calcolati con il sistema contributivo.