Aggiornamenti sull’indennità di buonuscita in tema maggiorazioni, sono riconosciute, ma con quali conseguenze?
Il denaro spettante alla risoluzione del rapporto di lavoro si chiama buonuscita, ma con questa indennità ci sono delle maggiorazioni inedite. La sentenza n. 22730/2024 del 16 dicembre del TAR del Lazio, aggiorna la materia mediante un ricorso dalla valenza storica.
La Sezione Quinta del TAR del Lazio ha accolto nella sentenza n. 22730/2024, il ricorso dell’Avvocato Mandolesi del Foro di Roma. Questo a favore di dipendenti del comparto sicurezza e difesa, richiedenti all’INPS di ricalcolare l’importo dell’indennità di buonuscita, includendo proprio nell’assegno in questione, i sei scatti stipendiali da corrispondere alle somme maggiorate, comprensive degli interessi legali.
È una decisione importante. In primis, perché riconosce i sei scatti nell’indennità di buonuscita al personale che chiede di essere collocato in quiescenza a patto che abbia 55 anni d’età e 35 di servizio. Ma anche perché formula due principi molto importanti.
Soffermandosi sull’interpretazione dell’art. 6-bis del d.l. 21 settembre 1987 n. 387, come modificato dall’articolo 21 della legge n. 232/1990, nella parte inerente la domanda di collocamento, si evince quanto segue. Cioè che la richiesta deve essere fatta non oltre il 30 giugno dell’anno in cui sono maturati i due requisiti di anzianità. Per chi ha 55 anni e 35 di servizio, il termine è il 31 dicembre 1990.
I giudici respingono l’eccezione di prescrizione dell’INPS, ritenendo che il termine iniziale ai fini del decorso della prescrizione, debba coincidere con la data di emissione del primo ordinativo di pagamento, dell’indennità di buonuscita successivo alla fine del servizio.
Questo perché solo da quel momento chi è titolare del diritto, può avanzare la soddisfazione del credito incompleto. Se non c’è reazione dell’interessato, questa può essere considerata un’inerzia giuridicamente rilevante.
La questione però è stata ulteriormente aggiornata, perché si sottolinea il rigetto della questione di costituzionalità sollevata dalla stessa INPS, la quale perde qualsiasi contestazione del caso. Il TAR del Lazio espone il perché.
L’altro elemento in gioco, è appunto quello inerente la questione di legittimità costituzionale che sarebbe stata alterata secondo quanto predisposto dall’INPS. Ma è qui che il TAR del Lazio lancia la scoccata finale, decretando le sue ragioni. Perché questo ritiene il percorso avviato dall’Ente Previdenziale, come infondato dal punto di vista giuridico.
La ragione è retta dal fatto che è del tutto irrazionale l’attribuzione del beneficio in argomento a chi possiede il doppio requisito secondo il comma 2 dell’art. 6-bis.
La stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito il principio per cui rientra nella facoltà del legislatore la decisione sulle prestazioni sociali in relazione ella esigenze dei lavoratori. Questo definito dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 180 del 1982, e la successiva del 1988, la n. 220.
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