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Il pignoramento dello stipendio: quando scatta e come evitarlo

Al solo sentire la parola pignoramento ci si gela il sangue nelle vene. In questo articolo cercheremo di capire in particolare che cosa è quello in busta paga, augurando a tutti ovviamente di non doverlo mai subire.

Foto © AdobeStock

 

Il pignoramento nella busta paga si ha sullo stipendio prima che questo venga versato materialmente sul conto bancario. Questo ha luogo quando un creditore invia al datore di lavoro l’atto di pignoramento, attraverso l’ufficiale giudiziario, ordinando di trattenere 1/5 del netto della mensilità che dovrà essere girato allo stesso creditore.

Essendo un tema molto delicato ovviamente ci sono delle normative ad hoc per evitare eventuali abusi. Quindi tutto il procedimento deve svolgersi sotto il diretto controllo del tribunale e nello specifico con la supervisione del cosiddetto giudice di esecuzione forzata.

 

In che situazioni il creditore può chiedere il pignoramento in busta paga?

Per ottenere il pignoramento in busta paga bisogna aver prima avuto da un giudice un provvedimento di condanna del debitore, cosa che può avvenire in due modi: un decreto ingiuntivo nei casi di non avvenuto pagamento di un contratto, di spese condominiali, di una fattura, di un canone d’affitto… Una sentenza, che, attenzione, non deve essere per forza definitiva in quanto potrebbe diventare operativa sin dal 1° grado di giudizio.

Ma ci sono delle eccezioni a quanto sopra scritto. Questo tipo di pignoramento a volte non richiede un provvedimento del giudice se il debito in questione è derivato da: cambiale o assegno che sono stati protestati. Contratto di mutuo firmato dinnanzi a un notaio. Cartella esattoriale. Accertamento di ispettori Siae.

Ecco come si mette in atto il pignoramento in busta paga

Come primo atto il creditore notifica al debitore il precetto, un atto in cui gli concede 10 giorni di tempo per estinguere il debito. Ma anche iI precetto ha un termine temporale: scade infatti dopo 90 giorni. Se entro tale termine non si avvia il pignoramento, dopo ogni azione esecutiva diventa illegittima. Vale a dire che il creditore dovrà notificare un nuovo precetto per poter dare luogo al pignoramento.

Dopo la notifica, il creditore può chiedere al Presidente del tribunale l’autorizzazione per avere accesso all’Anagrafe tributaria, l’archivio dell’Agenzia delle Entrate dove vengono indicati redditi dei cittadini. Lì il creditore trova l’indicazione dei contratti di lavoro in essere con relativi riferimenti ed indirizzi.

A quel punto il creditore può notificare l’atto di pignoramento sia al lavoratore che al datore di lavoro. Dopodiché l’ufficiale giudiziario ordina al datore di lavoro di trattenere 1/5 di ogni mensilità.

Nell’atto viene indicato il giorno dell’udienza in cui il giudice, su domanda del creditore, imporrà al datore di lavoro di versare al creditore stesso, le somme che sono state trattenute sulle mensilità, nonché il numero di quelle da continuare ad accantonare fino all’estinzione del dovuto.

Ma ci sono dei limiti allo pignoramento sullo stipendio?

La legge impone dei paletti allo strumento pignoramento dello stipendio: può essere infatti è di massimo 1/5 (vale a dire il 20 per cento) sul netto. Questo per permettere comunque al debitore di poter avere il denaro per continuare ad affrontare le spese quotidiane.

Non vengono prese in considerazioni cessioni del quinto visto che si tratta di atti volontari che non faranno quindi ridurre l’entità di denaro che il datore di lavoro dovrà accantonare e cedere al creditore.

E in caso di debiti fiscali e multe?

Se il creditore è il fisco le cose cambiano. Infatti l’Agenzia Entrate Riscossione, in caso cartelle esattoriali per multe stradali, imposte, sanzioni varie, dovrà solamente notificare l’atto di pignoramento concedendo al debitore sessanta giorni per estinguere la pendenza. Se ciò non avverrà, non ci sarà bisogno di un atto di un giudice per imporre al datore di lavoro di trattenere 1/5 dello mensilità e girarlo all’Agenzia statale.

Bisogna poi sottolineare un’altra differenza rispetto a quando detto finora la cifra da trattenere darà di 1/5 se lo stipendio eccede i 5.000 euro, di 1/7 se lo stipendio supera 2.500 euro ma va oltre i 5mila euro, di 1/10 se lo stipendio non eccede i 2.500 euro.

Ci sono casi in cui lo stipendio non sia pignorabile?

In realtà rispondiamo subito con un secco “no”. Infatti non sono previsti dalla legge importi sotto ii quali lo stipendio non possa essere pignorato. Aggiungiamo anzi che più creditori possano pignorare 1/5 sullo stesso stipendio se le loro ragioni di credito non sono omogenee.

Al riguardo è necessario individuare 3 classi di credito: alimentari dovuti ai familiari; per tributi ed imposte; di altro genere. Vale a dire che 2 creditori appartenenti alla stessa classe non potranno pignorare nello stesso arco di tempo 2/5 dello stipendio. Il 2° dovrà aspettare che il 1° ottenga il dovuto e solo dopo sarà il suo turno.

Se invece i 2 creditori appartengono a classi differenti, potranno pignorare 2/5 quinti della stessa mensilità, ma solo se il debitore continuerà a percepire almeno metà della somma originaria dello stipendio.

E’ possibile non farsi pignorare lo stipendio?

Bisogna sollevare opposizione contro l’esecuzione forzata. Un atto che riguarda però delle contestazioni solo sull’entità dell’importo pignorato o che indica eventuali errori di forma. Il credito originario in questa sede non può essere messo invece in discussione, è una cosa che si sarebbe dovuta fare prima impugnando la sentenza od opponendosi al decreto ingiuntivo.

Attenzione alle scadenze: per vizi di forma la questione va sollevata entro venti giorni dalla notifica dell’atto che si ritiene viziato. Per opporsi nel merito non si hanno invece termini temporali.

Per esempio, un elemento per fare valere il vizio di forma e se il debitore non ha ricevuto l’atto di pignoramento.

Esiste un modo per farsi togliere il pignoramento dello stipendio?

L’unico, ovvio, è quello di pagare debito dovuto, in alternativa si potrebbe trovare un accordo con il creditore per un importo ridotto “a saldo e stralcio”. A cui deve poi seguire un atto di rinuncia del creditore alla procedura da depositare presso la cancelleria del tribunale.

Fabrizio Lodi

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