Mentre la crisi ucraina si aggiunge alle pressioni inflazionistiche globali, anche gli asset più sicuri rischiano di diventare un rifugio temporaneo.
La natura stessa della situazione geopolitica rende anche i titoli di Stato, bene rifugio tradizionale, una scelta d’investimento che non lascia senza preoccupazioni.
Il rischio di mercato dato da un aggravarsi del conflitto con il coinvolgimento di altre nazioni è ancora troppo alto per non influire in modo esteso sulle commodity e sull’azionario. Le strategie di investimento per chi vuole proteggere il portafogli si concentrano su oro e materie prime.
Martedì, il presidente Putin ha ottenuto l’approvazione l’azione militare dentro il territorio ucraino. L’invio delle truppe russe al di fuori del paese arriva a un giorno di distanza dal riconoscimento russo dell’indipendenza delle regioni separatiste nell’Ucraina orientale. Per tutta risposta, il presidente Joe Biden martedì ha svelato la prima parte delle sanzioni finanziarie contro la Russia. Gli alleati occidentali hanno visto questa mossa come una provocazione e una violazione del diritto internazionale. La Germania ha interrotto l’approvazione del gasdotto Nord Stream 2 che avrebbe rafforzato il collegamento energetico dell’Europa occidentale con la Russia. Il paese è oggi il più grande esportatore di gas naturale del mondo.
Negli Stati Uniti, i più importanti indici a circa 24 ore dall’inizio del conflitto hanno reagito diversamente:
S&P 500 futures: -1,84%
Dow Jones: -1,38%
Nasdaq: -2,57%
Crude Oil: +7,98% a 94.45 dollari
Oro: +2,86 arrivato 1,965 dollari
Titoli di Stato a 10 anni: -5,16%
Acquistare il calo del mercato azionario può essere ancora troppo rischioso. Sono concrete le possibilità di che il conflitto possa intensificarsi data l’incertezza delle risposte di Stati Uniti e Unione Europea. Gli scenari peggiori sembrino essere per ora in secondo piano, gli Stati Uniti non si affidano alla Russia come principale partner commerciale e sono implausibili situazioni di completa interruzione nella fornitura di materie prime.
Uno sguardo ai conflitti passati rivela una forte correlazione tra l’impennata dei prezzi del petrolio e la volontà di Mosca di affermare in modo unilaterale la sua volontà oltre i confini nazionali. Durante i due attacchi militari della Russia in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014, i prezzi del petrolio erano a livelli elevati e superiori ai 100 dollari al barile. Nello stesso anno lo S&P 500 ha perso il 6% del suo valore per tornare successivamente in territorio rialzista quanto tutti i timori delle conseguenze dell’invasione sono stati scontati.
Oggi il prezzo del petrolio è intorno ai 95 dollari al barile, segnando il prezzo più alto degli ultimi sette anni. Molti paesi europei dipendono dalla Russia per le importazioni di gas naturale e, in misura minore, di petrolio. Il primo tra questi è la Germania, oggi un alleato chiave degli Stati Uniti.
Tra le aziende quotate più esposte ci sono quelle nel settore dei trasporti e delle infrastrutture. Prime tra queste l’aviazione civile, che deve fare i conti con cancellazioni di alcune rotte ma soprattutto l’aumento nei costi del trasporto dei passeggeri. Tra le aziende più esposte in modo diretto al mercato russo ci sono invece Philip Morris International le cui entrate dipendono dalla Russia per 8% del totale. A seguire Pepsi con il 4,4% e McDonald’s con il 4,2%.
In questo contesto è utile mantenere una strategia di investimento che comprenda le possibili oscillazioni di prezzo in un’ottica a lungo termine. Il panico nel mercato è sempre stata l’occasione per acquisti che hanno reso sul lungo periodo rendimenti eccezionali.
Crisi europea, tutte le speculazioni e gli asset coinvolti dai venti di guerra
Tra le valute più correlate all’attuale incertezza causata dalla crisi tra Russia e Ucraina, ci sono oltre il Rublo, lo Yen giapponese e il Franco svizzero, valute rifugio per eccellenza, che si sono rafforzate contro il dollaro USA. Anche le valute correlate positivamente alle materie prime, come il dollaro australiano e neozelandese, sono andate discretamente bene. Non sorprende, invece, che le valute dell’Europa orientale siano state le peggiori in termini di performance, spinte al ribasso dal peggioramento delle notizie in arrivo dall’Ucraina.
I principali dati macroeconomici che saranno rilasciati questa settimana sono gli indici PMI degli Stati Uniti, dell’Eurozona e del Regno Unito. Nonostante la crisi geopolitica in Ucraina potrà mettere tutti questi dati in secondo piano, il cambio EUR/USD è ancora capace di rafforzarsi. Per quanto riguarda la Sterlina invece sulla valuta influisce, oltre l’esposizione al rischio di mercato nell’attuale crisi, anche l’inflazione. La scorsa settimana il Regno Unito ha rilevato dato sull’inflazione del 5,5% che continua a diffondersi su diversi beni di consumo. Oltre agli indici PMI, il calendario di questa settimana è insolitamente fitto di interventi del comitato di politica monetaria della Banca d’Inghilterra.
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