Una pessima notizia per i pensionati. Dovranno scavare nei loro risparmi, la perdita è consistente: l’INPS conferma tutto
Una delle categorie di popolazione più in difficoltà dal punto di vista economico è quella dei pensionati. Chi non lavora più e quindi non percepisce lo stipendio, infatti, vive grazie al cedolino erogato dall’INPS o dalla propria cassa di riferimento, a seconda del lavoro svolto. Sebbene le pensioni vengano regolarmente riviste sulla base dell’inflazione e del costo della vita, secondo molti anziani gli importi non sono sufficienti.
Se ci si pensa, infatti, il periodo della pensione è quello della vita in cui, sebbene non si dovrebbero avere pesi economici come il mutuo o una famiglia da crescere, possono esserci spese impreviste anche importanti. Pensiamo a quelle riferibili alla salute, quindi le visite specialistiche o le terapie: in quest’ambito, soprattutto se ci si muove nel privato, si va di 100 euro in 100 euro. A peggiorare il tutto, poi, quest’ultim’ora: che perdita!
Addio agli assegni, l’INPS non nega
Nei prossimi anni, la direzione è quella di un severo inasprimento dei requisiti d’accesso per la pensione: già ora, però, è innegabile che per molti lavoratori l’accesso al tanto atteso periodo di riposo non si paleserà prima del 70esimo compleanno, fatto che preoccupa e non poco chi, a 55 o 60 anni, ha davanti ancora più di 10 anni di lavoro. La prima forma pensionistica prevista dal sistema contributivo è la anticipata contributiva, che prevede come requisiti i 64 anni d’età e 20 anni di contributi versati: in questo caso, tutti gli uomini e le donne senza figli devono raggiungere un importo pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale. In caso di figli, invece, le donne con un figlio devono raggiungere 2,8 l’importo dell’assegno, quelle con più di due figli almeno 2,6 volte.
La seconda forma, invece, è quella ordinaria prevede almeno 67 anni di età, 20 anni di contributi versati e un trattamento non inferiore all’importo dell’assegno sociale. C’è poi la terza via, che non si applica a chi ha iniziato a lavorare prima del 1995 e prevede 71 anni di età e 5 anni di contributi.
In tutti e tre i casi, quindi, ipotizzando un lavoratore di 64 anni con 20 anni di contributi, nel caso in cui non abbia una pensione da 2,6, 2,8 o 3 volte superiore l’assegno sociale non ci può andare in pensione, quindi deve attendere i 67 anni per la pensione di vecchiaia. Anche in questo caso, però, deve arrivare ad almeno 534 euro al mese, altrimenti non può andarci neanche in questa situazione: di fatto, quindi, in attesa di tutti i requisiti si vanno a perdere anni di assegni, nonché di riposo e di tempo per sé.