Mentre le sanzioni colpiscono duramente il settore energetico, la Russia stringe i legami con Pechino.
I nuovi accordi hanno l’obbiettivo di ridurre la dipendenza economica russa dal continente europeo, oggi il più grande acquirente di gas del Paese.
In Russia si cominciano a pagare i costi della guerra. Il Rublo ha perso ieri circa il 25% del suo valore con la popolazione locale che ha fatto la fila per ritirare i contanti dalle banche. Intanto i dollari divenuti il primo bene rifugio disponibile sono oggi introvabili a causa dell’impatto delle sanzioni. Queste influiscono a cascata su tutta l’economia russa, dalla politica monetaria divenuta particolarmente restrittiva, alle compagnie aeree, costrette quasi ai soli voli nazionali data la chiusura degli spazi aerei.
La guerra fredda sembra oggi ripresentarsi sotto uno scenario economico e tecnologico completamente diverso, ma con pretese simili nel voler dividere in zone di influenza precise l’Oriente dall’Occidente. Dopo la Seconda guerra mondiale i grandi investimenti di Washington hanno garantito stabilità politica ed economica di stati importanti come Giappone, Francia, Germania Ovest e Italia. Oggi le due nazioni sono all’interno di una nuova guerra commerciale che influisce in primo luogo su gas e petrolio.
La situazione in via di sviluppo non consente di trarre conclusioni sui suoi esiti economici. Forse proprio per questo molte aziende ridefiniscono e chiudono i loro accordi commerciali nel paese. Shell, una società che per anni ha aiutato la Russia a trarre profitto dalle sue ricchezze energetiche, ha annunciato l’uscita da tutte le sue joint venture con Gazprom, la più grande società di gas naturale russa partecipata dallo Stato. Lo stesso accade nel settore automobilistico: Volvo e Mercedes hanno reso noto che avrebbe interrotto la produzione presso le fabbriche di camion in Russia.
Un nuovo accordo con la Cina per la fornitura di gas permetterebbe a Gazprom di espandersi verso Overst e Est costruendo un’alternativa all’Europa.
Il più grande acquirente di gas russo potrebbe fare i conti delle sanzioni varate contro Mosca sul lungo termine. Insieme all’UE Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Giappone. Le misure adottate, stanno limitando la capacità della Russia di importare tecnologie chiave, attingere ai mercati finanziari internazionali nonché alle proprie riserve di valuta estera. Mentre l’Europa sta esplorando nuove le opzioni per diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, Gazprom ha firmato un contratto per progettare il gasdotto Soyuz Vostok che, attraverso la Mongolia, arriverà in Cina.
Qualora la Russia raggiungesse un nuovo accordo per la fornitura di gas, Soyuz Vostok potrebbe trasportare fino a 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno verso il gigante asiatico. L’accordo è stato preparato da trattative avviate già negli anni precedenti. Questo è avvenuto con serie di accordi pluridecennali iniziati nel 2014, di cui l’ultimo proprio lo scorso anno.
Il risultato suggerisce che la tendenza a generare sistemi di potere centralizzati, come quello russo e cinese, ha creato basi comuni che hanno permesso loro di avvantaggiarsi da reciprochi accordi commerciali. L’impotenza momentanea degli Stati Uniti insieme alla sua volontà di influire sulle dinamiche di queste economie, ha reso consapevole la Russia di dover emancipare la sua economia. Da almeno il 2018 il Paese ha cominciato a diminuire la sua sensibilità alle sanzioni USA, diminuendo fino a oggi le riserve in dollari della banca centrale russa. Questo rafforzerà inevitabilmente i suoi legami con la Cina e con tutti quei paesi non allineati al blocco occidentale.
Come accaduto per il Nord Stream 2 a inizio febbraio è stato realizzato un progetto speculare in Cina. In occasione dell’inizio delle Olimpiadi invernali Putin e Xi hanno siglato un accordo per un nuovo gasdotto chiamato Power of Siberia 2. Questo rifornirà la Cina con altri 10 miliardi mc di gas, con i primi flussi dovrebbero attraversare la pipeline nel 2026.
Perché Enel è al centro dell’alleanza economica tra Italia e Russia
La Cina rappresenta il mercato a più rapida espansione del gas naturale complice il progressivo abbandono del carbone del Paese. L’Agenzia Internazionale per l’Energia stima che fra il 2018 e il 2024, Pechino conterà per circa il 40% dell’intera crescita globale, nel consumo di questa materia prima.
A regime, secondo alcune stime, la vendita di gas potrebbe garantire a Mosca circa 100 miliardi di euro. Per questi motivi al di là della situazione attuale che coinvolge l’Ucraina è da tempo che Putin guarda ai mercati dell’est asiatico. Le prospettive limitate di crescita a lungo termine del consumo di gas in Europa, sono state le motivazioni decisive. Queste sono state acuite dalla tendenza ecologica e il sempre maggiore ricorso alle fonti rinnovabili.
Secondo i dati pubblicati dalle dogane cinesi l’interscambio commerciale tra Cina e Russia ha raggiunto il volume record di 146,88 miliardi di dollari nel 2021, un aumento annuo maggiore del 35%. Sempre lo scorso anno la Cina ha rappresentato circa il 18% del fatturato commerciale complessivo della Russia. Al contrario, la quota russa del fatturato commerciale cinese è stata poco più del 2%.
Tra le società russe quotate pubblicamente oggi più interessate dai recenti mutamenti c’è Lukoil. Le correlazioni con il rischio geopolitico rendono la società particolarmente esposta con quotazioni che hanno subito perdite di circa il 30% nell’ultima settimana. Le azioni rappresentano un’occasione per trader particolarmente propensi al rischio. La proporzione tra prezzo e utili è inferiore di quattro volte e il rendimento da dividendi è 11,25%
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