La percezione della guerra è emozione fugace. Le persone vedono, sì, ma difficilmente capiscono. Le emozioni, per l’appunto, sembrerebbero non bastare.
Il web e i tanti dispositivi tecnologici, come fiumi in piena, colmano gli occhi di istantanee ed espressioni fulminanti. Il tempo per approfondire sembrerebbe non esserci.
Colui che si accinge a leggere prova una indignazione momentanea. Il lettore in questione è inconsapevole e solo apparentemente informato. Il suo è uno stato fortemente emozionale, ma fugace e senza contesto. Di costruttivo vi è poco in questo.
L’opinione della giornalista Francesca Mannocchi è condivisibile. Il racconto bellico si pone alla stregua di un docufilm privo di regista.
Un monito che spinge a tenere alta soglia di attenzione sia in quanti raccontano di armi, vittime e devastazioni, sia in chi ascolta e osserva il materiale informativo. È il disappunto verso un modus operandi sbrigativo di fornire informazione.
Si tratta di denunciare il pericolo che si corre raccontando una guerra senza supportarne la sua comprensione.
Il vero rischio, e piuttosto consequenziale, sta in due gesti emblematici, spegnere la tv e mettere da parte il quotidiano, tutelandosi dalle emozioni. Staccare la presa e voltare repentinamente pagina, illudendoci di poter proseguire la nostra vita con meno preoccupazioni in giornate già dense di innumerevoli difficoltà.
A complicare ulteriormente le cose ecco la velocità della tecnica. Il web e i tanti dispositivi tecnologici, come fiumi in piena, colmano gli occhi di istantanee ed espressioni fulminanti. Il tempo per approfondire sembrerebbe non esserci. Onde elettroniche che permettono di vedere tanto e capire meno.
Il giornalista, attento, ne prende coscienza, stravolge la sua tecnica narrativa, con l’intento di infiammare il desiderio di addentrarsi nella complessità per afferrarla e comprenderla.
Non vi sono perplessità a riguardo. La notizia, al di là dei suoi lineamenti fondamentali, dovrebbe proporre stimoli per una migliore comprensione dell’insieme, delle sue fondamenta.
Sarebbe necessario che l’osservazione della guerra si tramuti nella guerra. In altri termini, il nostro sguardo dovrebbe andare oltre la mera superficie, avventurandosi in profondità. Quello che si invoca è una vera e propria rivoluzione nella cronaca giornalistica, occorrerà mettere in discussione quotidianamente l’essenza di una professione, la stessa che giorno dopo giorno trova a dover confrontarsi con l’illusione della velocità.
Un sforzo sarà richiesto anche al lettore, allo spettatore, al navigante del web. Riconosciuto l’inganno, verranno meno le gracilità e le leggerezze di alcune valutazioni in merito all’attualità.
I lettori, gli osservatori, i ricercatori non possono e devono lasciarsi imprigionare e imbavagliare dai frammenti, dai like e dalle emoticon. L’equilibrio per salvaguardare la verità, la cura del pensiero critico per non perdersi nelle paludi dell’astrattezza. Apriamo gli occhi!
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