Per decenni la competizione internazionale sul piano fiscale è andata a tutto vantaggio delle aziende che hanno potuto delocalizzare le proprie sedi fiscali, in un circolo vizioso di offerte a ribasso.
Gli effetti economici della globalizzazione hanno creato straordinarie opportunità di crescita ma hanno anche favorito eccessivamente le politiche fiscali delle aziende, con un progressivo svantaggio delle casse statali, che fino a oggi hanno offerto incentivi fiscali per evitare che le multinazionali potessero delocalizzare il pagamento delle proprie imposte.
Alcune volte il fenomeno è avvenuto all’interno delle stesse nazioni, come negli USA, paese nel quale gli stati sono in grado di concedere politiche fiscali concorrenti al fine di incentivare le aziende a operare nel loro territorio. A dispetto dei vantaggi insiti in questa dinamica e la riduzione nel tempo dell’imposizione fiscale sulle multinazionali e sulle aziende, queste hanno continuato a usare delle scappatoie fino a riuscire in alcuni casi a evadere completamente il prelievo fiscale.
Quali sono i metodi usati dalle grandi aziende per evadere il fisco?
Le aziende e le multinazionali portano avanti diverse strategie tramite le quali riescono a eludere il fisco senza incorrere in reati. Esse sfruttano quelle che sono le asimmetrie nelle legislazioni internazionali, riuscendo a diminuire la base imponibile o accreditare i proventi a una sussidiaria con sede legale in un paradiso fiscale.
Pagare in azioni i propri dipendenti
Uno dei sistemi usati in paesi come gli Stati Uniti è quello, per le aziende quotate in borsa, di pagare i propri dipendenti per mezzo di azioni della società. Alcune aziende applicano questa politica con il benestare dei dipendenti, che possono ottenere un’azione a un prezzo privilegiato con il potenziale di rivenderla o rivalutarla nell’arco di pochi mesi. Quando questo avviene il dipendente ha comunque ricevuto lo stipendio senza che questo sia stato accreditato dall’azienda, ma figurando come un guadagno dato dalla vendita di azioni. Questo permette di diminuire la base fiscale imponibile per l’azienda.
Transfer Pricing
Con transfert pricing si intendono quelle pratiche che coinvolgono i costi di beni e servizi scambiati tra due aziende che fanno capo in realtà alla stessa società multinazionale. La multinazionale ha generalmente accesso agli asset che utilizza per realizzare i suoi prodotti senza avere gli stessi limiti geografici delle legislazioni nazionali. In questo modo ha a disposizione la possibilità di produrre e vendere beni e servizi attribuendo la loro realizzazione a una società con sede in un diverso paese, associando di fatto a un’altra realtà i suoi proventi e deducendo allo stesso tempo i costi del trasferimento di beni o servizi venduti.
Questo sistema è in grado di generare una riduzione dei prelievi fiscali associando i propri proventi all’azienda che ha sede in territori con una più bassa pressione fiscale, fino a territori con una totale assenza di imposte sui redditi, tipiche ad esempio dei paradisi fiscali. Per esempio, se per una multinazionale che opera in Italia l’imposizione fiscale sugli utili è pari al 24%, questi non verranno pagati qualora i profitti siano attribuiti a una società delocalizzata, una sussidiaria, che potrebbe essere semplicemente la residenza di un ufficio con sede alle Bermuda, senza nessuna capacità produttiva o tale da giustificarne i proventi.
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Quali sono i metodi per spostare i propri capitali tramite il transfert pricing?
Il metodi per spostare i propri capitali tramite il transfert pricing possono essere molteplici, come la concessione dei diritti di utilizzo di un prodotto o di una tecnologia, che viene attribuito alla società presente in Italia, da parte della società nel paradiso fiscale. In questo modo la società in Italia potrà dedurre dai suoi utili le spese per i diritti d’autore o di utilizzo dei sistemi che non figurano di sua diretta proprietà, associando a essi un costo fittizio.
Questo è anche il sistema utilizzato dalle grandi multinazionali tecnologiche come Microsoft, che per mezzo di una sussidiaria con sede in Irlanda e sede fiscale alle Bermuda, ha potuto legalmente realizzare nel 2020 un profitto pari a 315 miliardi di dollari, senza versare neanche un centesimo di imposte.
Qualcosa di analogo avviene anche per Google, che ha una sede principale a Singapore e una sussidiaria in Australia, che utilizza in modo da giostrare la fornitura dei suoi servizi nel Paese e i pagamenti dell’imposizione fiscale con quella di Singapore. Questo è possibile soprattutto per le aziende che non hanno bisogno di delocalizzare fisicamente la propria produzione a causa della natura immateriale dei loro prodotti come i servizi digitali.
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Aziende come Google o Microsoft sono in grado di attribuire il rendimento dato dalla vendita dei propri servizi a sussidiarie presenti in paesi con imposte sui redditi agevolate, senza per questo dover apportare cambiamenti di tipo economico e produttivo. Anche a questo proposito si discute in questi ultimi mesi di una possibile tassa minima globale, che verrebbe estesa a tutti i paesi rendendo questo tipo di pratiche antieconomiche o inapplicabili.