Non tutti i cittadini conoscono bene il rapporto tra Fisco e compravendite, soprattutto quando si parla della cosiddetta caparra.
Una compravendita, ovvero una transazione tra due soggetti, è costituita da diversi passaggi. Prendiamo ad esempio il classico acquisto di un immobile. Le procedure variano in base agli attori protagonisti, ad esempio se si tratta di imprenditori o privati cittadini.
Ma su una cosa il Fisco “non perdona”, e parliamo della caparra. Questo tipo di versamento, meglio detto caparra confirmatoria è un pagamento in denaro di una certa somma, pattuita tra le parti. Serve a garanzia dell’impegno di entrambi di concludere l’affare. È regolamentata anche per la tutela dei soggetti coinvolti, perché in caso di inadempimento va a “risarcire” la parte offesa. In sostanza, non va intesa come mero acconto.
La caparra confirmatoria, per sua natura fiscale, è anche soggetta a tassazione. La stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione numero 197/2007, chiarisce che: “A differenza dell’acconto, la caparra confirmatoria, definita sotto il profilo civilistico dall’art.1385 c.c., non rappresenta un anticipo del prezzo pattuito, rivestendo natura risarcitoria in caso di inadempimento contrattuale. La stessa rappresenta, infatti, la liquidazione convenzionale anticipata del danno in caso di inadempimento di una delle parti”.
Se trattengo la caparra e poi la transazione non va a buon fine, come devo regolarmi col Fisco? Una recente Sentenza della Cassazione ha confermato ciò che era già contemplato. Ovvero che questa cifra di denaro è sottoposta a dichiarazione e conseguente tassazione perché rientra nei redditi imponibili ai fini dell’Irpef.
Fisco e compravendite, cosa significa dichiarazione infedele e quali sono le conseguenze
Il caso preso in esame dalla Cassazione è piuttosto singolare. Un uomo ha intascato ben 800 mila Euro come caparra confirmatoria, e poi li ha trattenuti dopo che l’affare non si era concluso. Già come importo non è qualcosa che “si vede tutti i giorni”. L’uomo ha poi omesso di dichiarare tale somma nella dichiarazione dei redditi. A suo parere, perché “non aveva sostanzialmente cambiato il suo status finanziario.”
L’accusa è stata in un primo momento di evasione fiscale. L’uomo ha tentato di difendersi e ha portato la questione alla Corte di Cassazione. Dagli approfondimenti effettuati sulla vicenda, sono emersi altri dettagli. Indipendentemente dalla risoluzione di questa controversia, in cui l’uomo ha dovuto poi pagare le conseguenze della sua azione, dobbiamo sapere che in casi come questo si rischia anche il carcere.
Possiamo infatti essere accusati di “dichiarazione infedele”. Si distingue dalla dichiarazione fraudolenta dal fatto che non vi è volontà precisa di falsificare ad esempio una certa documentazione, ma è comunque un atto volontario. Immaginiamo ad esempio un proprietario di una casa che non dichiara l’affitto ricevuto. Il reato di dichiarazione fraudolenta, per cui si rischia il carcere anche fino a 4 anni e 6 mesi, scatta dopo il superamento di una certa soglia. Ovvero, “se l’imposta evasa è superiore a 100 mila euro; oppure se i redditi non dichiarati superano il 10% del totale o comunque i 2 milioni di euro”.