Ha davvero senso investire solo perché “ci ha guadagnato mio cognato”? La storia di Stefano svela un errore che fanno in troppi, ma nessuno ne parla apertamente. Dietro al fascino del guadagno facile, c’è una realtà ben più complessa che spesso viene ignorata.
Leggere tutto prima di firmare è una regola d’oro che sembra valere per tutti, tranne quando si parla di soldi. Ma se il mercato scende e perdi il 10% in un giorno, di chi è davvero la colpa?

Stefano ha 34 anni, lavora come tecnico specializzato e non si è mai interessato troppo ai mercati finanziari. Poi, all’inizio del 2025, succede qualcosa: durante una cena di famiglia, suo cognato, un tipo tranquillo ma con l’occhio lungo per gli investimenti, racconta di aver guadagnato il 60% investendo in azioni negli ultimi due anni. Stefano rimane a bocca aperta. Sessanta per cento? In due anni? In banca non ti danno neanche l’uno all’anno.
Il giorno dopo è già allo sportello. Chiede di parlare con il consulente. Ha un’idea precisa: “Voglio guadagnare anche io il 60%. Metta tutto sui mercati azionari”. Il consulente, sorpreso da tanta sicurezza, prova a spiegare che il mercato azionario non è una macchina per soldi, e che a volte i ribassi sono pesanti. Ma Stefano incalza: “Lei dove ha investito i suoi soldi?” “Nei mercati azionari,” risponde l’esperto. Allora Stefano non ha più dubbi: firma tutto.
Poi arriva gennaio. Nuovi dazi da parte di Trump, i mercati impazziscono, giornate con il -10% diventano la nuova normalità. Stefano si presenta in filiale, furioso. Urla, accusa, minaccia. “Tu mi hai fatto firmare, tu mi hai convinto, è colpa tua!”. Ma è davvero così?
Il fascino dei guadagni facili e il peso delle decisioni
Quando si sente parlare di un parente o un amico che ha fatto soldi con le azioni, è normale che scatti qualcosa nella testa. Nessuno vuole restare indietro. Ma la Borsa non è una corsa al raddoppio istantaneo, e chi ci entra solo perché “qualcuno ha guadagnato” rischia molto più di quanto crede. Stefano non ha chiesto quali titoli aveva il cognato, non ha voluto capire il contesto, non ha valutato i rischi. Ha solo seguito l’entusiasmo.

Il consulente, da parte sua, aveva provato ad avvertirlo: “Attenzione, ci sono anche fasi negative, e anche molto pesanti.” Ma la voglia di guadagno aveva già preso il sopravvento. La verità è che investire in Borsa richiede preparazione, pazienza e soprattutto consapevolezza. Quando mancano questi elementi, anche il miglior investimento può trasformarsi in un incubo.
E qui si apre una riflessione: quanti come Stefano si lanciano in qualcosa che non comprendono, salvo poi cercare un colpevole quando le cose vanno male? È un copione già visto, soprattutto nei momenti in cui la volatilità dei mercati si fa sentire. Le perdite fanno male, e in tanti preferiscono dire “mi hanno fregato” invece di ammettere “non ho voluto capire”.
La responsabilità condivisa e i rischi ignorati
In una relazione tra consulente e cliente, la fiducia è fondamentale. Ma questa fiducia deve basarsi sulla trasparenza. Il cliente ha il diritto di essere informato, certo, ma ha anche il dovere di ascoltare e comprendere. Firmare senza leggere, decidere in base all’emotività, pretendere risultati senza considerare i rischi: tutto questo non è colpa di chi propone l’investimento.
Stefano ha scelto, Stefano ha firmato. Eppure, quando il vento è cambiato, ha dato la colpa a chi gli aveva detto chiaramente che le azioni non sono sempre in salita. E oggi, in tanti sportelli bancari, consulenti si trovano a dover difendersi da accuse simili. Alcuni hanno sbagliato davvero, certo. Ma quanti clienti hanno semplicemente ignorato i segnali, preferendo inseguire illusioni?
Il vero problema nasce quando si pensa che il denaro investito debba sempre generare guadagni. Ma i mercati finanziari non funzionano così. Hanno cicli, fasi positive e negative, e pretendere rendimenti costanti è come aspettarsi che ogni giorno sia soleggiato. Ci saranno giornate tempestose, ed è lì che si vede se la scelta fatta era davvero consapevole.
Alla fine, non si tratta solo di soldi, ma di responsabilità. Delle proprie decisioni, delle proprie firme. E forse è il caso di chiedersi: se il mercato fosse salito del 10%, Stefano avrebbe dato merito al consulente?