La monetizzazione delle ferie non è sempre vietata ed infatti spetta in alcuni casi ben definiti, analizziamo nel dettaglio quali.
Il congedo di maternità non esclude affatto la monetizzazione ferie che, infatti, come confermato anche dalla Corte di Cassazione, sussiste per il tramite dell’erogazione di un’indennità sostitutiva ad hoc.
La lavoratrice madre è tutelata sotto numerosi aspetti, ed anche sul piano della monetizzazione delle ferie non godute. Pensiamo al caso in cui si trova una lavoratrice subordinata, che ha usufruito del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro previsto per legge negli ultimi mesi di gravidanza e nei primi mesi dopo il parto.
Ebbene, in un momento successivo, la donna ha scelto di dare le dimissioni volontarie, con la conseguenza che non ha potuto sfruttare i giorni di ferie spettanti per contratto. Ciò di cui vogliamo occuparci di seguito è proprio questo: come funziona la monetizzazione delle ferie non godute per congedo di maternità? Quali sono le regole da applicare? Scopriamolo di seguito nel corso di questo articolo.
Congedo maternità e monetizzazione ferie: la regola generale e le eccezioni
In sintesi, il congedo di maternità rappresenta il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che è riconosciuto alle lavoratrici subordinate durante la gravidanza e il puerperio. Esso comincia due mesi prima della data presunta del parto e dura fino a tre mesi dopo la nascita del bambino (salve le ipotesi di flessibilità di detto periodo).
Per inquadrare con precisione la questione principale e individuare quale risposta dare, occorre prima fare chiarezza sulla cd. ‘monetizzazione delle ferie’. Essa consiste nel versamento di un’indennità sostitutiva della retribuzione al lavoratore che non ha fruito dei periodi di ferie previsti – ovvero nei casi di cessazione del rapporto.
Dal punto di vista tecnico-giuridico, le ferie non godute da parte del beneficiario non potrebbero essere pagate con un’indennità a se stante, ed anzi la monetizzazione delle ferie è espressamente vietata dalla legge. Ma attenzione: sussistono alcune specifiche eccezioni, di cui si trova traccia nelle norme di legge vigenti e nei CCNL di categoria.
In particolare, una delle ipotesi nelle quali è permessa la monetizzazione delle ferie non godute attiene proprio al caso del congedo di maternità, cui segue la cessazione del rapporto di lavoro. Il motivo è molto semplice: la donna lavoratrice in ragione della gravidanza e del parto non ha potuto usufruire del periodo di ferie, con la conseguenza che non sarebbe equo e rispettoso dei suoi diritti di lavoratrice, perdere le ferie senza aver in cambio un’indennità.
Anche la Cassazione è favorevole alla monetizzazione ferie a favore della lavoratrice madre che ha dato le dimissioni
Il principio è lineare: la lavoratrice ha diritto di percepire l’indennità sostitutiva in caso di cessazione del rapporto, anche quando avviene per dimissioni volontarie. Esso trova peraltro l’appoggio della Suprema Corte che con i suoi provvedimenti, come spesso accade, aiuta a fare luce su casi dubbi e ‘zone grigie’ nelle norme vigenti.
Ebbene, una recente ordinanza della Corte di Cassazione di qualche giorno fa ha riconosciuto il diritto ad incassare l’indennità sostitutiva delle ferie non godute (monetizzazione delle ferie), anche nell’ipotesi delle dimissioni volontarie della lavoratrice che era stata in congedo per maternità. Nell’ambito dell’ordinanza la Corte ha infatti chiarito che, in detta situazione, ha luogo una vera e propria “impossibilità di fruizione” delle ferie nei periodi indicati, prodotta dal mero fatto dell’astensione obbligatoria dal lavoro – prevista dalla legge.
La Corte di Cassazione ha rilevato un importante elemento, che gioca a favore della lavoratrice madre che ha usufruito del congedo di maternità, ma non delle ferie. Infatti, secondo questo giudice la modalità di cessazione del rapporto di lavoro deve intendersi comunque ‘neutra’, ai fini dell’inquadramento del diritto alla monetizzazione ferie. In termini pratici è dunque indifferente, per il versamento dell’indennità sostitutiva, che si sia trattato di licenziamento o di dimissioni della lavoratrice.
Concludendo, secondo la Suprema Corte non vi sono dubbi: il diritto all’indennità sostitutiva in oggetto scatta quando emerge, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che il godimento delle ferie spettanti non era stato oggettivamente possibile in precedenza, per causa non imputabile al dipendente (ad es. per congedo per malattia o, come in questo caso, per congedo di maternità).