Se la causa del mancato godimento ferie non è imputabile al lavoratore, a quest’ultimo spetta il diritto all’indennità per le ferie non godute (monetizzazione). Lo ha rimarcato la Corte di Cassazione in una recente ordinanza.
La Corte di Cassazione ha recentemente affermato un importante principio in materia di diritti dei lavoratori. In particolare ha stabilito che, in riferimento alle ferie non godute, viene meno il divieto di monetizzazione a seguito di dimissioni del dipendente.
Attenzione però: il lavoratore subordinato può avvalersi del diritto a un‘indennità per le ferie non godute, nelle circostanze in cui il mancato godimento sia legato a causa a lui non imputabile. Nel caso deciso dalla Suprema Corte è stato stabilito che se alla fine del congedo obbligatorio di maternità una dipendente sceglie di dimettersi, ha comunque diritto all’indennità sostitutiva delle ferie, ovvero la monetizzazione di queste ultime.
Vediamo un po’ più da vicino queste importanti precisazioni della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, di cui si trova traccia nell’ordinanza n. 19330 dello scorso 15 giugno.
Diritto alla monetizzazione delle ferie non godute per dimissioni: il caso concreto
Le ferie costituiscono uno dei maggiori diritti del lavoratore alle dipendenze, così come fissato dall’art. 36 Costituzione. In esso infatti si trova scritto che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunciarvi. La finalità è quella di favorire il recupero delle energie psicofisiche dopo molti mesi di lavoro e le relazioni con gli altri, al di fuori dell’ambiente lavorativo.
Ebbene, nel caso concreto da cui è emerso il chiarimento della Corte, il giudice territoriale aveva disposto il rigetto della domanda di una dipendente, che mirava alla condanna dell’ex datore di lavoro al pagamento della indennità sostitutiva per le ferie non godute (monetizzazione).
Nelle circostanze concrete è emerso che la dipendente non era stata in grado di sfruttare le ferie in quanto nel periodo già in congedo obbligatorio per maternità. Quest’ultimo è proseguito fino alla risoluzione del rapporto di lavoro, a seguito della scelta delle dimissioni.
Il motivo per cui il giudice si era opposto alla sua richiesta ha trovato fondamento nelle norme di legge che vietano il divieto di monetizzazione delle ferie non godute. Ecco allora il ricorso in Cassazione da parte della donna, che ha portato a conclusioni differenti.
Per la Cassazione in questo caso le ferie non godute debbono essere monetizzate
La Corte di Cassazione ha espresso una decisione che tiene conto dello stato della donna in congedo per maternità. Infatti vero è che il divieto di monetizzazione delle ferie non vale per la fattispecie in oggetto, poiché in rapporto al periodo anteriore alle dimissioni per la lavoratrice era oggettivamente impossibile fruire delle ferie. Già operativa l’astensione obbligatoria per maternità, a cui ovviamente non può sovrapporsi il periodo di godimento delle ferie.
In altre parole, la lavoratrice subordinata era in ogni casso impossibilitata a fare le ferie durante il periodo di congedo e proprio questa considerazione – dice la Corte – rende del tutto neutra, o comunque non sfavorevole alle richieste della donna, la circostanza che la lavoratrice abbia poi preso la strada delle dimissioni, per fare un diverso lavoro.
Insomma, quanto stabilito a livello generale dalla Suprema Corte è che la monetizzazione delle ferie non può essere impedita dalla scelta operata dalla lavoratrice, o dal lavoratore, di interrompere l’esperienza lavorativa presso un certo datore attraverso le dimissioni (e dopo aver goduto del periodo di congedo per maternità).
Conclusioni
Ricordiamo allora che il divieto di monetizzazione delle ferie non è assoluto, pur essendo previsto dalla legge. Il lavoratore di fatto perde a tutti gli effetti il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute laddove egli si è comportato in modo da non avvalersene, agendo dunque volontariamente per non farle.
Pertanto il datore di lavoro o azienda si libera dal dovere di versare l’indennità se riesce a provare di aver permesso al lavoratore di sfruttare i giorni di ferie accumulati in tutti i modi possibili, ma il dipendente si è rifiutato. In questo caso non c’è diritto alla monetizzazione, ma in quello deciso dalla Corte di Cassazione sì.
Infine ricordiamo che sia le norme italiane che quelle UE certamente danno spazio alla citata decisione della Suprema Corte. Così va certamente riconosciuto il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie laddove l’impossibilità di goderne sia stata costituita dalla circostanza che la lavoratrice si trovava nella situazione di astensione obbligatoria dal lavoro. Ovviamente ci riferiamo alla situazione di pre parto e post parto.
Ecco perché la Cassazione non ha potuto che accogliere il ricorso della donna affermando che, in tema di ferie non godute, cade il divieto di monetizzazione in ipotesi di dimissioni del lavoratore.