La banca centrale statunitense intende mantenere i tassi di interesse vicini allo zero ancora per lungo tempo. Vediamo come hanno reagito i principali mercati finanziari e quali sono le prospettive nel breve termine.
La Federal Reserve, al termine della riunione del FOMC degli scorsi due giorni, ha migliorato le stime di crescita dell’economia statunitense, facendo salire ulteriormente il rendimento del Treasury Note (titoli di Stato) con scadenza a 10 anni fino ad un massimo di oltre 1,70%.
Va specificato che le obbligazioni statali sono considerate, nella prassi finanziaria, degli asset “safe heaven”, ovvero degli strumenti a basso rischio nei quali si investe, solitamente, nei momenti di difficoltà del sistema economico. In periodi di crisi economica, quindi, gli acquisti spingono i prezzi al rialzo e, di conseguenza, i rendimenti al ribasso. Al contrario, quando vengono elaborate aspettative ottimistiche sulla crescita economica come fatto dalla Fed, gli operatori tendono a vendere obbligazioni (strumenti a basso rischio ma anche a basso rendimento), determinando un rialzo dei rendimenti, come quello che si osserva in questi giorni, e preferendo investire il proprio denaro in titoli più remunerativi come quelli azionari.
La Fed ha lasciato invariata la politica monetaria pur avendo migliorato le proprie previsioni su occupazione e inflazione nei prossimi anni. Per fine 2021, il tasso di disoccupazione viene stimato in calo al 4,5% con un tasso di inflazione in crescita al 2,4%. La crescita del PIL, invece, si prevede intorno al 6,5%.
Solo tre mesi fa la banca centrale degli Stati Uniti aveva elaborato delle stime molto meno ottimistiche: infatti, il tasso di disoccupazione veniva stimato al 5% mentre la crescita economica, in termini di PIL, era stimata al 4,2%.
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Le migliori prospettive di crescita economica, tuttavia, non hanno indotto la Fed a modificare la propria politica monetaria ancora basata su condizioni molto favorevoli, infatti i tassi di interesse sono destinati a restare intorno allo zero almeno fino a fine 2023.
Oltre ai tassi fermi ancora a lungo, la Fed ha anche comunicato che il programma di acquisto di asset dalle banche (quantitative easing) proseguirà al ritmo sostenuto di 120 miliardi di dollari al mese.
Il messaggio che la Fed ha inviato al mercato è, in breve, questo: un’inflazione che dovesse temporaneamente tornare a salire non porterà in nessun caso ad un ridimensionamento anticipato delle misure di stimolo all’economia, ipotesi che aveva generato dei timori tra gli investitori durante l’ultimo mese, innescando delle vendite sui titoli tecnologici americani.
In fin dei conti, è possibile sostenere che Jerome Powell abbia accontentato i mercati su tutta la linea, perché ha accompagnato una significativa revisione al rialzo delle stime di crescita, sia del PIL che dell’occupazione, con grande tranquillità sul versante dell’inflazione, sul cui rialzo non ha lanciato alcun segnale di allarme, lasciando intendere anche che l’aumento dei tassi sui Treasury Note a lunga scadenza non deve destare preoccupazioni.
Infatti, nel 2022 la crescita negli Stati Uniti dovrebbe accelerare, superando addirittura i livelli osservati nel periodo precedente la pandemia, ma il tasso di inflazione rimarrà comunque sotto controllo, senza eccedere eccessivamente il target del 2% stabilito dalla Federal Reserve, la quale ritiene che delle temporanee escursioni al di sopra di tale valore non rappresentino un problema e non rendano necessario un rialzo dei tassi nel breve periodo.
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Solitamente, un rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato genera malumori tra gli operatori del mercato azionario, ma anche tra i policy makers, in quanto (così come accade quando la banca centrale modifica al rialzo i tassi di riferimento) il tasso di remunerazione dei titoli sovrani spinge verso l’alto i tassi a cui le banche concedono finanziamenti ad imprese, famiglie ed agli investitori che ricorrono a capitale di prestito per compiere operazioni di acquisto sul mercato azionario.
Di conseguenza, l’investimento in azioni diventa meno conveniente rispetto ai titoli di Stato per cui, in queste situazioni, può esserci un ribasso nei mercati azionari.
Però in un contesto economico di crescita sostenuta, come quello che si prospetta negli Stati Uniti, un incremento dei tassi di finanziamento non dovrebbe generare problemi in quanto verrebbe facilmente assorbito dall’incremento di ricchezza derivante dalla crescita importante del Prodotto Interno Lordo e dell’occupazione. Questo discorso non vale, invece, per l’Europa, dove le prospettive di crescita economica ad oggi non consentono di accogliere con serenità un rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato, che potrebbe ulteriormente ostacolare la ripartenza dell’economia.
L’indice di volatilità (variazione percentuale dei prezzi), noto anche come VIX, ha raggiunto nuovi minimi dallo scoppio della pandemia poco sopra i 19 punti, il livello più basso da un anno. La bassa volatilità è sintomo di tranquillità e fiducia nei mercati finanziari, infatti solitamente la bassa variabilità dei prezzi accompagna le fasi di rialzo. Al contrario, quando la volatilità sale e supera la media dello strumento, significa che si sta sviluppando un sentiment negativo su un determinato mercato, in virtù del quale sempre più investitori si stanno affrettando a vendere lo strumento finanziario.
La Fed non ha espresso alcun tipo di preoccupazione per il rialzo dell’inflazione e non ha manifestato la necessità di ricorrere al rialzo dei tassi prima del previsto, confortando così gli operatori di Wall Street. L’azionario statunitense ha, infatti, reagito positivamente spingendo a un certo punto della seduta il Dow Jones ad un nuovo massimo storico oltre i 33.000 punti, poi confermato in chiusura (33.015: +0,58%).
Come anticipato su questo sito nelle ore precedenti la conferenza stampa di Powell, la conferma della politica accomodante da parte della Federal Reserve, ha generato un sentiment positivo su tutti i mercati finanziari, statunitensi e non. Anche gli altri due importanti indici USA hanno fatto registrare una chiusura in territorio positivo, nel dettaglio: il NASDAQ chiude con una performance del +0,40% e l’SP500 chiude con un +0,29%.
I CFD sugli indici statunitensi questa mattina stanno evidenziando delle correzioni al ribasso. Dal punto di vista operativo, dopo l’apertura di Wall Street alle ore 15, sarebbe preferibile attendere una ulteriore discesa dai massimi registrati post-Fed ed entrare al rialzo nel momento in cui le quotazioni raggiungono dei livelli di supporto interessanti e, ovviamente, sempre nel rispetto del setup operativo e dei parametri di rischio previsti dalla propria strategia.
Dal grafico 1, è possibile notare quanto appena detto. Il CFD con sottostante l’indice Standard & Poor’s 500, dopo i rialzi di ieri sera legati alle stime rilasciate dalla Fed, sta evidenziando questa mattina un andamento al ribasso che sta determinando, su timeframe orario, il breakdown (rottura ribassista) di una importante trendline rialzista. Se venisse confermata questa discesa, il primo livello di supporto da monitorare è posizionato in area 3930 punti indice, ma è ancora più rilevante il successivo supporto posizionato sul livello psicologico dei 3900 punti indice, in corrispondenza del quale si potrebbe valutare la possibilità di aprire operazioni di acquisto.
Permane, invece, una situazione di incertezza sul cambio valutario Eur/Usd (grafico 2) che, dopo l’iniziale rialzo post-Fed, non è riuscito a superare l’importante livello posizionato in area 1,1990-1,20, dove vi è la confluenza tra un livello di resistenza e la media mobile semplice a 100 periodi, indicatore molto utilizzato dagli investitori istituzionali per orientare le proprie scelte di investimento. Il cambio rimane quindi in una situazione di trading range compreso tra la resistenza in area 1,20 e il supporto in area 1,1835. In queste situazioni sarebbe preferibile attendere la rottura di uno dei due livelli in modo da entrare a mercato seguendo la direzione presa dal prezzo (long sopra 1,20 e short sotto 1,1835).
Nota: questo articolo ha finalità puramente informative e didattiche, non deve essere inteso come consiglio operativo di investimento. L’attività speculativa comporta notevoli rischi e chiunque la svolga se ne assume piena responsabilità. Pertanto, gli autori declinano ogni responsabilità circa danni derivanti da decisioni di investimento prese dal lettore.
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