La determinazione della FED ad agire in modo rapido e deciso sui tassi non sembra tenere troppo conto del fatto che iniziano a manifestarsi crepe nei settori dell’economia più sensibili.
Il focus degli operatori oggi sarà sulle decisioni di politica monetaria della FED, che saranno comunicate stasera alle 20.
L’aumento dei tassi è una misura necessaria sul lungo termine. Il contesto tuttavia rende la manovra poco efficace; l’aumento dell’inflazione è infatti causato da fattori esogeni che poco hanno a che fare con un eccesso sul lato della domanda. L’effetto sarà quindi quello di smorzare la crescita economica e i consumi. Non è possibile chiedere alle banche centrali la soluzione a problemi che non possono risolvere con gli strumenti attuali.
La FED del resto può utilizzare il rialzo dei tassi in maniera progressiva per tentare di correggere alcune dinamiche almeno sul lato finanziario, scontando nell’immediato i suoi effetti. Per tentare di centrare l’obbiettivo di un inflazione al 2% l’obbiettivo rimane un aumento di 50 o 75 punti base; la misura in questo contesto può avere effetti senza precedenti con un possibile effetto stagflattivo.
Di conseguenza, la FED si trova a gestire il difficile compromesso tra un lento impoverimento causato dall’inflazione e una recessione senza inflazione. Lo stesso problema; inflazione, recessione o stagflazione, sta venendo affrontato in modo diverso dalla Bce.
La Banca centrale europea ha deciso di affrontare il problema dello spread tra i rendimenti dei titoli sovrani nella zona euro, necessario per rendere efficace e possibile la politica monetaria per combattere l’inflazione. Per evitare una recessione tra i Paesi più deboli dell’eurozona la Bce ha fatto riferimento a uno scudo anti spread; questo consiste nel reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza in modo flessibile e a seconda delle necessità finanziarie di ogni membro.
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