Stati Uniti e Cina mantengono a oggi inalterate le politiche commerciali e diplomatiche all’insegna del reciproco sospetto e della chiusura, definita a partire dalle differenze in ambito economico, politico e militare.
Nel corso degli ultimi anni vi sono stati numerosi eventi che hanno avuto ripercussioni economiche importanti, tutti accomunati dalla volontà di allontanare quelli che vengono percepiti come fonte di pericolo per la sicurezza nazionale. Gli obbiettivi delle due più grandi economie mondiali, sono passate dal volersi realizzare attraverso la cooperazione e il reciproco incentivo economico e commerciale, a una fase di competizione serrata, che ha ridefinito il ruolo dell’economia come mezzo per segnare la propria volontà politica a discapito dell’avversario.
Nel 2018 l’amministrazione Trump governò all’insegna di una politica volta a riportare equità nel saldo commerciale USA e ridare a una parte dei lavoratori del Paese, la sensazione di primeggiare economicamente rispetto il resto del mondo. Il governo avviò una serie di dazi su alcuni prodotti cinesi, come le lavatrici e i pannelli solari, questo fu l’inizio di quella che divenne l’attuale escalation della guerra commerciale tra i due Paesi. Gli Stati Uniti accusarono la Cina di portare avanti una serie di pratiche commerciali scorrette, come la sovvenzione diretta delle aziende all’interno del suo territorio e l’appropriazione indebita di tecnologie USA.
Le conseguenze furono ritorsioni a catena che portarono entrambe le parti ad aumentare il numero dei prodotti sui quali gravarono dazi doganali, che danneggiarono e danneggiano tutt’ora i due paesi dati gli incrementi di prezzo delle merci per centinaia di miliardi di dollari. Attualmente i due governi sono ancora alle prese con la predisposizione di un nuovo accordo che possa mettere definitivamente fine a questa politica, che in definitiva è risultata svantaggiosa per entrambi.
Le dispute tra i due paesi si sono concentrate successivamente sulle vicende che vedrebbero la Cina sfruttare l’accesso al mercato USA, per acquisire capitali e tecnologie al fine di utilizzarli per sviluppare il comparto militare sia difensivo che offensivo. A questo proposito Donald Trump aveva messo all’indice una serie di società cinesi quotate sul mercato azionario USA, accusandole di raccogliere capitale direttamente per conto del partito comunista cinese. Tra le 59 aziende finite nel mirino dell’amministrazione Trump, Xiaomi, Luokung Technology, Huawei Technologies. Che rimangono tuttavia ancora presenti negli Stati Uniti in quanto le accuse non sono state surrogate da prove sufficienti per poter diventare effettive.
Un nuovo regolamento divenuto legge sotto l’amministrazione Trump nel dicembre dello scorso anno, prevede la rimozione dal mercato azionario americano di quelle aziende che falliscono nell’ottemperare per almeno tre anni di fila, gli standard di garanzia necessari per essere quotati nella borsa valori USA.
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TikTok e WeChat
Negli stessi anni una vicenda analoga è accaduta anche all’applicazione TikTok, il social network dell’azienda cinese ByteDance, particolarmente popolare negli Stati Uniti ma anche in Italia e in Europa. L’applicazione utilizzata in particolar modo dagli adolescenti è stata attenzionata dalle autorità, che considerano il potenziale pericolo di veicolare disinformazione ai danni degli Stati Uniti o peggio di vere proprie campagne propagandistiche, celate dietro account apparentemente innocui.
Oltre a questo i due Paesi sono coinvolti in una battaglia sull’informazione e i dati, che le multinazionali del settore digitale sono in grado di raccogliere relativamente alle abitudini, alle attività economiche e agli orientamenti politici degli utenti, che utilizzano le rispettive applicazioni. Se la Cina è preoccupata dagli effetti che l’innovazione può avere sull’aumento del relativismo culturale e sull’indipendenza di vedute nel Paese, gli Stati Uniti temono che i dati dei propri cittadini che utilizzano queste applicazioni, finiscano nelle mani del Partito Comunista Cinese.
A questo proposito nel 2020 Trump emise un ordine esecutivo con il quale cercò senza successo di impedire ai cittadini degli Stati Uniti di intraprendere attività economiche che coinvolgessero le applicazioni TikTok e WeChat, quest’ultima particolarmente utilizzata nel settore impiegatizio USA. Un’altra azienda popolare diventata bersaglio delle contese tra i due paesi è Huawei, il cui network delle telecomunicazioni poteva diventare vulnerabile allo spionaggio. Come conseguenza delle pressioni USA, anche l’Europa ha ritenuto opportuno non appoggiare in modo estensivo la sua rete di telecomunicazioni sull’infrastruttura basata sul network 5G. Huawei è stata inoltre limitata nell’utilizzare la tecnologia USA per realizzare e produrre i suoi chip.
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Xinjiang e gli Uiguri
La Cina probabilmente dall’inizio della Repubblica Popolare combatte gli avversari ideologici, comprendendo tra questi i separatisti e gli estremisti religiosi. I musulmani nel paese così come i cristiani, sono tenuti sotto costante osservazione e considerati un pericolo per la stabilità e l’equilibrio sociale. Un particolare gruppo etnico cinese viene a oggi perseguito in modo da limitarne il più possibile l’influenza e l’espansione, in quanto la maggior parte sono Msulmani. Gli Uiguri, concentrati principalmente nella regione dello Xinjiang, sono stati oggetto detenzioni arbitrarie, in quelli che il governo chiama campi di rieducazione volontaria, nei quali sarebbero costretti a lavori forzati e sottoposti a sterilizzazione.
L’amministrazione Trump ha accusato la Cina di genocidio, con una conseguenza molto negativa per l’immagine internazionale di Pechino. Lo Xinjiang è balzato agli occhi dell’opinione pubblica internazionale e i suoi prodotti, in particolar modo il cotone proveniente dalla regione, che sopperisce all’84% della domanda a livello globale. I prodotti collegati alla produzione dei forzati sono stati oggetto di boicottaggi da parte degli Stati Uniti. A questo si sono aggiunte le sanzioni contro quattro ufficiali cinesi, collegati alle vicende nella regione e ai vertici del partito comunista.
La vicenda ha riscosso scalpore anche recentemente, quando Aziende come Adidas, Nike, H&M, avendo sollevato dubbi in passato circa la presenza di lavori forzati nella regione, alla fine di marzo hanno subito boicottaggi organizzati e fomentati dai media locali cinesi. Il governo di Pechino oggi non tollera più alcuna presa di posizione dell’occidente in ambito di diritti umani né civili.
Le Olimpiadi invernali del 2022 e le origini del Coronavirus
Un altro tipo di boicottaggio questa volta di tipo simbolico, che tuttavia se portato a termine avrebbe importanti ricadute economiche, è il tentativo di una parte del congresso USA di impedire che le olimpiadi invernali del 2022 vengano tenute in Cina, motivando la scelta politica come conseguenza della violazione dei diritti umani. Gli Stati Uniti potrebbero portare avanti l’iniziativa a prescindere dalle decisioni delle altre nazioni, non candidando nessun atleta statunitense e impedendo alle aziende private che si pubblicizzeranno per mezzo dei giochi olimpici, di fare successivamente affari con le istituzioni del governo federale.
Un altro avvenimento particolarmente grave che ha segnato e continuerà a essere utilizzato come arma nei rapporti diplomatici tra i due Paesi concerne le origini del coronavirus. La Casa Bianca ha criticato in modo piuttosto diretto l’Organizzazione Mondiale della Sanità per essersi fermata nelle indagini sulle cause della diffusione del coronavirus davanti alle pressioni delle autorità cinesi. Alcuni politici degli Stati Uniti hanno affermato che il virus sarebbe stato messo in circolazione a partire da un centro di ricerca di massima sicurezza, realmente esistente e situato a Wuhan che incentra le sue ricerche sul coronavirus.
Il presidente Biden ha voluto approfondire le accuse, verificando per mezzo di un’azione di intelligence che dovrà investigare seguendo tale filone e consegnare un rapporto che arriverà al presidente entro ottobre 2021. Oltre a questo il presidente ha auspicato una nuova indagine da parte del OMS senza la presenza delle autorità cinesi.
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Hong Kong e Taiwan
Dal 1997 Hong Kong è una regione amministrativa speciale cinese, sul piano territoriale essa fa quindi parte della Cina ma gode di una forma speciale di autonomia, sia sul piano economico che sociale. Fino al maggio del 2020 la Cina aveva mantenuto la promessa fatta nel 1997 di lasciare all’isola una grande autonomia amministrativa. La politica in vigore denominata “Un Paese due sistemi” è stata definitivamente interrotta, Hong Kong che fino a oggi era stata una delle capitali finanziarie del mondo, alla stregua di Londra e New York, sta tornando prematuramente sotto il totale controllo della madre patria. Il sistema elettorale della regione è stato modificato in senso nazionalista, assicurando la fedeltà degli eletti al partito comunista ed eliminando quelle leggi che avevano il valore di una costituzione parallela vigente nell’isola, fino a ora rimasta piuttosto aperta agli scambi culturali ed economici con l’occidente.
Le aziende ad Hong Kong dovranno prestare cautela ai mutamenti in atto, valutando correttamente i rischi di operare ancora sul territorio. Ad aprile l’amministrazione Biden ha detto che Hong Kong a causa dei mutamenti accorsi non riceverà più trattamenti di favore in ambito commerciale. Gli Stati Uniti hanno inoltre sanzionato gli attuali amministratori locali e impedito loro di portare avanti qualsiasi tipo di attività economica con aziende o istituzioni finanziare americane. La Cina ha risposto con limitazioni negli spostamenti di ufficiali, politici e diplomatici USA presenti nel territorio. Un’altra disputa territoriale che può avere un impatto importante dal punto di vista geopolitico ed economico è quello relativo al controllo di Taiwan, che per ora sta venendo supportata contro le intenzioni cinesi di assoggettarla in vari modi alla sua influenza, con gli Stati Uniti che hanno garantito approvvigionamenti militari per un valore di 750 milioni di dollari.
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Spionaggio tecnologico e industriale
Gli Stati Uniti hanno accusato la Cina di avere passato il segno nelle attività volte ad acquisire conoscenze su tecnologie all’avanguardia. Le accuse nei confronti di Pechino riguardano ricercatori cinesi negli Stati Uniti e hacker, che avrebbero trafugato i risultati delle ricerche sui vaccini e sui trattamenti atti a combattere il coronavirus. Le ripercussioni su queste vicende non hanno tardato ad avere i loro effetti sulla relazione tra i due paesi, con la chiusura nel 2020 del consolato cinese a Houston, e viceversa di quello americano a Chengdu. La stessa politica è stata applicata da entrambi i Paesi imponendo nuove restrizioni dei diplomatici nei rispettivi territori. Ciò che gli Stati Uniti cercano di evitare a tutti i costi è la trafugazione di proprietà intellettuale. Questo fenomeno è in grado di mettere seriamente a repentaglio la sicurezza nazionale e avvantaggiare un potenziale avversario nella ricerca in campo militare e tecnologico.