La nuova mazzata sui lavoratori non è una fake news, ma una situazione da analizzare a dovere: chi sono i destinatari delle amare conseguenze?
Se c’è qualcosa che in questo momento sta decisamente facendo storcere il naso ai contribuenti, è la situazione economica in apparenza irrisolvibile. Tutto si determina sulla base del fatto che il livello dei prezzi è in continuo aumento, e i salari sono bloccati. L’inflazione genera malessere, e le retribuzioni non bastano per sopravvivere: cosa può esserci di peggio? La notizia del giorno.
I numeri non solo fanno paura, rendendo la fine del 2024 più tragica del previsto, ma si esaurisce una nuova mazzata sui lavoratori i cui esiti incalzeranno proprio a partire dall’anno nuovo. La mancata stabilizzazione delle retribuzioni è un grosso danno, e di questo non si può non criticare l’operato del Governo. La mossa dei bonus per quanto “efficace”, lo è solo su un breve periodo, perché come una “toppa sul buco”, non risolve il problema, lo accantona per un po’ tenendolo buono.
È un po’ questo il mood del momento. Non perché non ci sia la volontà di migliorare le cose, ma la situazione è la seguente, mancano risorse, e i fenomeni del ciclo economico appaiono inarrestabili. Parlare di “povertà” potrebbe sembrare assurdo, ma ad oggi non basta lavorare per essere stabili, perché la peggior notizia arriva proprio nei confronti di chi non se lo aspetta.
Complicazioni in vista, la nuova mazzata sui lavoratori va abbattuta sul nascere
Di certo, per stroncare delle perdite di questo peso, bisognerebbe piuttosto trovare le risorse per farvi fronte, ma problema dei problemi, purtroppo, si è davanti un contesto socio-economico sempre più teso. Le contestazioni non mancano. Se un tempo i poveri erano coloro i quali non avevano un lavoro, ad oggi si è tali anche spaccandosi la schiena. Ci sono delle categorie che nello specifico sono affossate dall’inflazione. Altro che aumento di stipendio… ci sono perdite!
A evidenziare la situazione sono le maggiori testate come il Corriere della Sera. Pare che le promesse governative parlino di aumenti, ma in realtà la busta paga racconta una storia totalmente differente. L’inchiesta della giornalista del citato giornale, Milena Gabanelli analizza che nonostante ci siano stati dei tagli sul cuneo fiscale, di base il potere d’acquisto dei cittadini non è più forte, bensì diminuito.
La stessa rimodulazione delle aliquote IRPEF che avrebbero dovuto garantire buste paga più consistenti, hanno generato tutt’altro perché l’inflazione ha neutralizzato tutti i buoni propositi. Questa ha superato il 6% e gli aumenti degli stipendi si sono rivelati insufficienti a coprire beni e servizi. Non può essere diverso se i prezzi aumentano del 4% e gli stipendi solo del 3%.
Quali sono le peggiori conseguenze per i lavoratori? Analisi specifica
Nella stessa indagine si approfondisce la questione. È il caso del metalmeccanico che nell’inchiesta finisce per prendere al netto un reddito di 23 mila euro annui con 1.778 euro circa al mese. Questo dal fatto che se ne sottrae circa 2247 euro per i contributi e 4641 per l’IRPEF, su un totale lordo di 30 mila euro. Quali sono i cambiamenti?
Se c’è stato un aumento di stipendio di 88 euro nel 2024 e la retribuzione è salita a 32 mila circa, comunque si è in affanno. Il problema non sono nemmeno trattenute e contributi. È sempre l’accumulo di inflazione che causa una perdita di 3700 euro annui sulla reale retribuzione. Non basta il piccolo incremento, il saldo finale è in rosso. Il lavoratore si trova con 1344 euro in meno.
Quindi, la fiscalità permane come una “red flag” nelle relazioni economiche, poiché porta il metalmeccanico a pagare imposte basate su uno stipendio che ha perso valore, e lui potere d’acquisto nel costo della vita odierno.