Benjamin Graham, padre del value investing, più di 70 anni fa si accorse già che il peggior nemico dell’investitore è molto probabilmente sé stesso.
Da allora, un gran numero di ricerche ci ha portato alla consapevolezza di come il processo decisionale ordinario non sia adatto a gestire l’ambiente del trading.
Il processo decisionale si sviluppa in un ambiente non troppo mutevole in cui il valore dell’esperienza gioca un ruolo importante nel pesare le scelte da intraprendere. Nel trading pregiudizi comportamentali frequenti portano invece a decisioni sbagliate in modo altrettanto frequente. La moderna neurologia e psicologia comportamentale ha dimostrato che l’emozione della paura della perdita, e quindi l’avversione al rischio, viene elaborata in maniera molto diversa dall’occasione di guadagno.
Ogni trader è consapevole come durante situazioni emotivamente importanti o particolarmente coinvolgenti, come quelle associate al rischio degli investimenti, si possano prendere decisioni che si discostano da una valutazione razionale in termini economici.
Avversione al rischio è la paura di realizzare una perdita e comporta la presenza o lo sviluppo di due tendenze; la ricerca dell’occasione perfetta e il rifiuto in base alle esperienze pregresse di non cogliere occasioni che assomigliano alle circostanze in cui abbiamo perso denaro. Questo può portare anche alla propensione a mantenere una posizione in perdita molto più a lungo di quanto sia razionalmente giustificato.
Aprire una posizione in acquisto o in vendita significa in primo luogo conoscere l’oggetto della nostra compravendita. Diversamente stiamo aprendo un’operazione sulla base di valutazioni frutto del pregiudizio, politico, economico o culturale. Allo stesso modo comprare o vendere qualcosa soltanto perché pensiamo che sia eccessivamente caro o eccessivamente sotto prezzato, ci impedisce di valutare correttamente le variabili che possono generare un profitto.
Il cervello umano ha sviluppato dei meccanismi per ridurre la complessità del mondo al fine di scegliere tra possibilità apparentemente limitate. Un esempio è il pregiudizio di disponibilità; secondo questo nei processi decisionali complessi non consideriamo tutte le alternative allo stesso modo, ma diamo più importanza alle prime a cui possiamo pensare.
Una volta presa una decisione di investimento, ci siamo già convinti dei suoi meriti e ci impegniamo per questo a portarla avanti. Sfortunatamente, questo implica la forte tendenza a interpretare i dati successivi come favorevoli alla nostra premessa iniziale. Questo è il così detto “pregiudizio di conferma”; impedisce di osservare le informazioni sullo schermo nel loro complesso censurando quelle che contrastano con le nostre convinzioni e i nostri bisogni.
Il bias di conferma, l’individuo rifiuta di affrontare il fatto che si è commesso un errore in passato, si hanno dedicate risorse ed energie per portare avanti la scelta; ciò ci induce nella condizione di osservare solo i dati che ci convincono che le cose vanno nella direzione desiderata.
Se è vero che i nostri pensieri, sentimenti e convinzioni hanno un impatto maggiore sul nostro futuro finanziario, è anche vero che il nostro attaccamento al denaro non ci consente di operare scelte in armonia con il giusto tempismo. Il giusto grado di distacco, ottenibile oltre che con un lavoro su se stessi, anche con un approccio corretto al money management e con una sufficiente capitalizzazione, permette di superare in blocco molti risvolti psicologici che causano le perdite più frequenti.
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