L’Italia sta provando a mostrare in ambito internazionale le sue capacità di ritrovare lo slancio economico, fermato nell’ultimo anno dalla crisi sanitaria, ma con un’economia che ha smesso di crescere già da un decennio per fattori strutturali, con tassi di crescita medi dello 0,36% all’anno.
Il 30 giugno di quest’anno terminerà il blocco dei licenziamenti, questo significa che con le riaperture cominciate da poco più di un mese, l’economia italiana dovrà riuscire a riassorbire un mercato del lavoro tenuto in vita artificiale, fin dai primi giorni del febbraio 2020.
Un’impresa difficile da realizzare considerato che molte aziende nei settori più colpiti avranno bisogno di riorganizzare il loro personale adattandolo alle nuove aspettative di crescita. I timori che nella seconda metà di quest’anno si concretizzi una ricaduta della crisi sull’occupazione rimangono alte. I posti di lavori salvaguardati dal decreto nato dagli accordi tra le associazioni sindacali e il Governo Conte nell’ultimo anno e mezzo sono 360.000.
Nello stesso periodo le aziende hanno assunto solo personale strettamente necessario, in particolar modo nei settori che hanno potuto continuare a espandere la loro offerta, come quello dei servizi digitali, l’elettronica di consumo e la grande distribuzione. La stessa sorte è toccata agli investimenti, che si sono ridotti a causa della grande incertezza per la risoluzione della crisi sanitaria.
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I nuovi posti di lavoro creati sono stati 500.000, per avere un termine di paragone nello stesso periodo del 2019 i nuovi assunti furono poco più di 250.000 persone. Questo può dare un’idea di quanto il decreto emanato dal ex governo Conte abbia inciso sull’andamento reale del mercato del lavoro, alterandone in buona parte le dinamiche di equilibrio tra domanda e offerta. Nel 2021 sono inoltre diminuite di circa il 22% rispetto al 2020 le cessazioni, sia volontarie che per motivi di natura disciplinare o pensionistiche, facendo calare anche quelle che sono le cifre della disoccupazione.
Bisogna considerare naturalmente anche il calo della disoccupazione e quindi una sua eventuale ripresa, dovuta alle persone che a causa delle restrizioni e dell’assoluta incertezza, hanno smesso con un andamento ciclico durante tutto il periodo della pandemia di cercare lavoro e che ora andranno nuovamente ad aumentare l’offerta ed essere conteggiate, si spera temporaneamente, sul tasso di disoccupazione. Questo avrà un effetto non solo sul mercato del lavoro ma anche sulla rappresentatività degli andamenti economici del Paese e quindi sul giudizio rispetto alla sostenibilità economica da parte degli investitori.
In Italia così come nei paesi europei economicamente più deboli, come Grecia e Spagna, si è evidenzia una riduzione dell’occupazione giovanile e delle assunzioni a tempo indeterminato, con una costante rispetto la tendenza nella discrepanza di reddito in relazione alla fascia di età. In Italia chi ha più di cinquant’anni guadagna il 13,3% più della media, con gli under trenta che guadagnano il 17,2% in meno rispetto a tutti gli altri. Questo fa di noi l’unico paese europeo in cui i lavoratori tra i 29 e i 49 anni, ovvero la fascia di età in cui si è generalmente più produttivi anche in relazione alle competenze acquisite, sono pagati meno della media.
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In un clima misto di rinnovata fiducia, sollievo e aspettativa, si cerca di capire quali saranno le prospettive di ritorno a una normalità delle condizioni di vita, soprattutto di quelle economiche. Gli ultimi sei mesi di quest’anno saranno determinanti per capire quali saranno le nostre capacità di ridare slancio e stabilità al mercato del lavoro, considerando anche la qualità delle nuove assunzioni che aumenteranno il precariato, in quanto in momenti di crisi i contratti a tempo determinato sono generalmente i primi a essere utilizzati.
In questo scenario di incertezza una cosa è chiara, non ci sarà un riassorbimento ordinato dei posti di lavoro. Le tendenze che stanno prendendo forma, consentono di delineare un quadro della situazione che vede i lavoratori meno retribuiti e generalmente senza competenze tecniche, venire licenziati e dover probabilmente modificare la propria mansione.
Il mercato del lavoro a medio breve termine risulterà molto più competitivo ed esclusivo, dato il carattere inedito delle circostanze e l’influsso negativo, che la pandemia ha avuto sui redditi e sul commercio di quei settori che più tutti erano in grado di assorbire la domanda di lavoratori non particolarmente qualificati, come i commessi nelle vendite al dettaglio, il settore turistico e quello alberghiero. Questo era uno dei settori, che coinvolgendo soprattutto giovani, era riuscito a divenire particolarmente florido contribuendo negli anni tra il 2014 e il 2019 a circa un sesto della crescita occupazionale.
Nel 2020 in Italia i salari sono diminuiti del 7,5%, considerati sul totale delle persone occupate rispetto al 2019. I più colpiti sono le partite IVA con attività legate al turismo, alla ristorazione e ai centri sportivi, comprese tutte quelle attività economiche periferiche o presenti all’interno di stazioni e aeroporti.
In tutto questo la notizia positiva sarà la ripresa degli investimenti e la crescita di quei settori, dall’informatica all’ingegneria, già in una tendenza positiva prima della pandemia che ora avranno un ulteriore accelerazione, grazie aiuti economici europei per il proseguimento dei processi di digitalizzazione e di decarbonizzazione.
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