Mentre la BCE segue diligentemente la sua politica monetaria restrittiva in molti Paesi dell’Unione si respirano venti contrari senza precedenti.
In termini economici l’UE mostra segni di fiacchezza; l’ultima nuova in questo senso arriva dal cancelliere inglese, Jeremy Hunt, anche nel Regno Unito si teme la recessione.
Nella zona euro, i prezzi al consumo in ottobre sono stati superiori del 10,7% rispetto all’anno precedente. A differenza degli Stati Uniti qui l’inflazione è stata guidata da una restrizione dell’offerta di energia e materia prime piuttosto che da un’economia in forte espansione.
Non bastano gli aiuti alle famiglie e alle imprese per stimolare i consumi, né tanto meno una recessione in questo caso può aiutare contro l’inflazione. Già ora, infatti, non esiste l’eccesso di domanda che la può giustificare ma piuttosto una congestione sul lato dell’offerta che è stata accompagnata da una dinamica speculativa sui prezzi di mercato.
Per quanto riguarda il Regno Unito il suo Pil dovrebbe ridursi addirittura dell’1,4% nel 2023. Milioni di persone pagheranno più tasse a causa dei sostegni fiscali all’economia e a compensazione dei prezzi energetici. Nel medio termine, aumenti delle tasse e tagli alla spesa cercheranno di compensare i maggiori interessi sul debito e i costi del sistema welfare.
Lo stesso scenario, con un effetto minore dal punto di vista della riduzione del Pil è atteso in Italia. I recenti interventi sull’economia riguardano per la maggiore spese per attenuare l’impatto dei prezzi dell’energia. In UE nel secondo trimestre dell’anno, i consumi si sono contratti di due punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2019.
Proprio Venerdì 18, Christine Lagarde, ha detto un paio di cose interessanti circa la politica monetaria: la prima è proprio che il rischio di recessione nell’Eurozona cresce, ma che ciò impatterà in modo marginale sul calo dell’inflazione.
La seconda è una conseguenza di ciò: serve continuare ad alzare i tassi d’interesse e al contempo usare ulteriori strumenti per centrare l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Nonostante i prezzi attuali e futuri dell’energia sui mercati all’ingrosso sono scesi dai picchi estivi, l’ottimismo può rivelarsi prematuro. Gli effetti, infatti, richiedono tempo per arrivare ai consumatori e i prezzi possono tornare l’anno prossimo con uno scenario di fragilità sui conti pubblici molto peggiore.
Tutto ciò significa probabilmente che il picco dell’inflazione è ancora lontano. Prima del sollievo esso coinciderà con uno scenario recessivo difficile da gestire. Se l’aspettativa è di una rapida ripresa dei consumi, al contrario una contrazione più lunga del previsto potrebbe far cambiare idea sulla politica monetaria perfino a Francoforte.
La Commissione ha ceduto alle pressioni di chi voleva il price cap dettagliando come dovrebbe funzionare il “meccanismo di correzione del mercato” per reagire a una impennata speculativa dei prezzi. Il documento inviato la scorsa settimana alle capitali dei ventisette stati membri non è ancora una proposta formale. Il nuovo appuntamento fissato il 24 novembre riunirà il Consiglio Energia per decretare altre misure emergenziali già proposte da adottare; tra questi gli acquisti comuni di gas per gli stoccaggi.
Il “price cap” è modificato una decina di volte e riproposto in varie forme dall’inizio della crisi dei prezzi dell’energia lo scorso anno. La Commissione ha messo in chiaro un evidenza: un tetto al prezzo rischia di dirottare le forniture di gas naturale liquefatto verso altri fornitori e scoraggiare gli investimenti per aumentare la produzione.Il rischio di penuria aumenterà nell’inverno 2023-24, dati la riduzione già avvenuta delle forniture dalla Russia e la minaccia di un taglio totale. Risultato. Il meccanismo di correzione del mercato sarà usato solo in caso di prezzi estremi. Cosa si intende? La Commissione prevede come prezzi di riferimento quelli dello scorso agosto, quando il gas aveva raggiunto quota 350 euro al megawattora sul mercato di Amsterdam.
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