La cooperazione tra gli individui può garantire una marginalità nella creazione di valore, che in termini qualitativi e di ricadute sociali e ambientali positive risulta molto superiore a quelli generati delle dinamiche competitive.
Siamo stati abituati alla retorica degli sprechi e dell’inefficienza del sistema pubblico italiano, ma nel nostro paese quella che viene definita economia circolare, rappresenta invece un primato del quale andare sicuramente fieri, se non per noi stessi, almeno per coloro che riceveranno in eredità l’ambiente.
L’Italia, superando Germania e Francia è prima nella classifica per indice di circolarità ovvero l’attributo relativo all’efficienza nell’uso delle risorse relative a cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, nonché investimenti e occupazione nel settore del riciclo e nell’ampiezza del mercato delle materie seconde. In termini strettamente economici, questo significa che i nostri consumi, eliminando gli sprechi, contribuiscono alla crescita del PIL di 3,5 euro ogni kg di risorse consumata, superiore del 36% rispetto alla media europea.
Insieme alle attività connesse al riciclo, questo permette di produrre un fatturato in crescita che è pari almeno al 20% del PIL italiano. Quest’anno la quota di riciclo è arrivata a riutilizzare ben 2/3 di tutto il materiale di scarto correttamente riciclato, è quanto traspare dai dati di Circular Economic Network, la fondazione per lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare in Italia, sostenuta da molte imprese, organizzazioni e istituzioni operanti in diversi settori economici.
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L’economia circolare è quel processo che riduce attraverso le attività di selezione, smaltimento e riutilizzo dei diversi materiali, i consumi di materia prima, diminuendo di conseguenza l’energia e le risorse impiegate nella produzione di quei prodotti, che possono così diventare materia seconda, ovvero un prodotto generato da materiale riciclato. Per mezzo delle politiche a sostegno di un’economia circolare è possibile non solo produrre ricchezza, valorizzando le materie di scarto sotto il profilo economico, ma anche ridurre l’impatto ambientale, il consumo energetico, e investire in prodotti che sono costruiti per essere utilizzati a lungo termine, permettendo al consumatore la riparazione o la sostituzione di pezzi di ricambio. Per esempio, con la riduzione dei consumi energetici per la produzione della materia prima di cui sono costituiti gli imballaggi e gli oggetti che vengono riciclati, viene notevolmente ridotta l’emissione di CO2 che è attualmente generata, per almeno il 45% dalla loro produzione.
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Il nostro continente produce ogni anno più di due miliardi e mezzo di tonnellate di rifiuti, che possono invece contribuire non solo alla sua ricchezza ma anche al raggiungimento degli obbiettivi ecologici. La commissione europea è impegnata nel portare avanti disegni di legge atti a sostenere politiche industriali basate su modelli di economia circolare, per un’Europa a impatto zero, con un fabbisogno energetico sostenuto quindi totalmente da fonti rinnovabili. Le aree di interesse primario sulla quale il processo produttivo dovrà essere riadattato sono quello alimentare, delle plastiche, degli imballaggi, delle batterie e dei materiali da costruzione. A queste, si aggiungono in particolar modo l’elettronica (i materiali che costituiscono gli apparecchi elettronici sono riciclati per meno del 40%), e l’area del tessile. In Europa i materiali tessili sono riciclati soltanto all’1% e la loro produzione consuma una quantità di acqua stimata in circa 226 miliardi di metri cubi. Per avere un termine di paragone, sono necessari 2700 litri di acqua soltanto per la produzione di una maglietta.
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