L’economia è alla deriva. Nel prossimo biennio i consumi andranno calando per una cifra paria a 34 miliardi. Questo l’istantanea di un Paese, l’Italia, che sta cadendo sotto i colpi inferti da rincari e inflazione.
I numeri, di cui si diceva, esprimono una discesa a picco senza precedenti dei consumi di tanti e tanti cittadini italiani. L’indagine è stata portata avanti da Confesercenti che ha stimato un calo di 34 miliardi di euro sulla spesa del prossimo biennio: -21 miliardi, ossia -2,3 punti percentuali in confronto alle attese, nel corso di quest’anno, e -13 miliardi per il prossimo.
Una decelerazione che inciderà e non poco sull’intero comparto economico: il rallentamento dei consumi sarà alla base di una riduzione dello sviluppo del Pil, pari a 1,3% nell’anno corrente e allo 0,8% per il prossimo. L’aumento generale scatenerà un filone di incertezza, a sua volte lesiva: -1,8 miliardi nel 2022 e -5,1 miliardi nel 2023, per una riduzione della spesa nei due anni che seguiranno di 6,9 miliardi di euro.
Un contesto complesso, per conferma chiedere alle piccole aziende del turismo e del terzo settore, le quali sono soggette al mercato interno e che quindi corrono il pericolo di soccombere tra il calo dei consumi e l’exploit delle proprie spese fisse.
Occorrono alternative rapide così da alleggerire le conseguenze dei rincari di energia e gas. Del resto, le piccole società in questione andranno a sborsare da qui a un anno una bolletta piuttosto esosa: 11 miliardi di euro, circa 8 miliardi in surplus rispetto l’anno precedente.
Unioncamere ha calcolato come tra il 2021 e il 2022 la spesa sostenuta dal circolo delle piccole e medie imprese per i servizi pubblici locali, sia salita mediamente del +41,3%, con una decisa instabilità tra prestazione e movimento economico.
Il dazio più importante l’hanno saldato i negozi di prodotti non alimentari (+60%). Notevoli anche le spese sostenute dai negozi di parrucchiere (+41,1%), bar (+37,8%) e botteghe ortofrutticole (+26,1%). Nella fattispecie, l’exploit delle spese segnalato per il 2022 è riconducibile al flusso del costo delle forniture energetiche in un anno (energia elettrica +60,3%, gas naturale +57,3%).
Gli aumenti dell’energia elettrica hanno riguardato la circostanza connessa alla vendita (mediamente +127%) come conseguenza del deciso innalzamento dei costi della materia prima. A compensare vi è stato un calo degli obblighi strutturali (-45% considerando il 2021) predisposto ad hoc dall’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente, con l’intento di eludere per quanto possibile un rincaro ancor più eccessivo delle bollette.
Stime agghiaccianti quelle palesate dai portavoce delle realtà associative di Confindustria del Nord (Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte) riunitisi per un summit d’emergenza.
Uno scenario che lascia di stucco, affermano. Il mondo industriale che conosciamo, a loro detta, rischia una sorta di deindustrializzazione. A rischio, oltre alle medesime industrie, vi sarebbe la tutela e la tenuta sociale dell’intero Paese.
Le indicazioni sulle quattro regioni in questione non lascerebbero dubbi. Per l’anno 2019 nel complesso si registra per il comparto industriale una spesa per elettricità e gas pari a circa 4,5 miliardi di euro. Tre anni dopo la musica è ben diversa. Nel 2022 le spese in surplus sfioreranno, volendo essere ottimisti, una somma che ammonterebbe a quasi 36 miliardi, forse anche più elevata, 41 miliardi, nella prospettiva di prezzo meno vantaggiosa.
E, a peggiorare ulteriormente le cose, collegata ali rincari bollette e al discorso appena affrontato, ecco la crisi dell’industria della montagna e il rischio per un altro intero comparto dell’economia italiana, il settore sciistico e del turismo invernale. Per approfondire la questione clicca qui.
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