Tutto cambia con la nuova normativa per i dipendenti, si può rifiutare un cambio orario di lavoro senza rischiare di essere licenziati? La precarietà al primo posto.
Di questi tempi è la precarietà lavorativa a dettare legge, e i dipendenti si trovano sempre di più sul filo del rasoio. Spesso può capitare che un cambio improvviso dell’orario di lavoro, possa “cozzare” con proprie esigenze, anche importanti. Da qui, risulterebbe naturale, chiedere delle modifiche al proprio datore, ma è proprio in questa dimensione che si esaurisce la massima paura: il licenziamento. In un Paese civilizzato come l’Italia, è possibile avere di queste preoccupazioni?
Sembra una realtà lontana da quella della società italiana, ma in realtà non sono pochi i contesti di lavoro nei quali si vivono questi forti disagi. I lavoratori hanno davvero paura di perdere il lavoro se rifiutano un cambio orario stabilito dal proprio datore. Ma affermare un timore, significa anche rappresentare una realtà nuda e cruda? È proprio su questo punto che si cerca di comprendere appieno quali sono i rischi, ma soprattutto i diritti di ciascuno.
Nello specifico, s’intende una variazione di un certo peso, appunto quella che fa passare il lavoratore da part-time a full, o viceversa. Il modo in cui si accoglie la notizia varia da soggetto a soggetto. Perché se c’è chi da una parte desidera lavorare meno, perché ha degli impegni familiari ai quali adempiere, dall’altra c’è anche chi non vuol rinunciare al full-time, perché proprio ha delle importanti necessità economiche.
Insomma, non importa come cambia la situazione, ma quanto è il margine decisionale del dipendente in causa?
Il potere di decidere sul proprio futuro non è una dote che va data per scontata. In molti casi, è bene tenere presente che avere in mano la possibilità di scegliere, implica il poter indirizzare la rotta della propria vita, soprattutto se scegliere di lavorare di più o di meno ha degli effetti concreti a livello familiare o economico, o entrambi. Ci si può rifiutare? La normativa mette in guardia da cavilli pericolosi.
Generalmente non ci può essere un licenziamento, e qualsiasi variazione di orario dovrebbe essere stipulata da un accordo scritto tra parti in gioco, dipendente e lavoratore. Ma la legge in certi casi rende quasi una condizione naturale il passaggio dal full time al part time, e questo avviene in situazioni specifiche.
Ad esempio, quando si ha un figlio non più grande di 13 anni con disabilità grave, oppure che soffra di malattie oncologiche, cardiologiche, cronico-degenerative ingravescenti, o è il lavoratore interessato a soffrirne. In queste condizioni il passaggio avviene per legge.
Quindi, ribadito che in generale il licenziamento non può avvenire, bisogna capirne il motivo. Poiché da qui discende anche la ragione che al contrario permetterebbe un licenziamento diretto. In poche parole, ci sono casi in cui si può essere licenziati per un rifiuto di cambio orario di lavoro.
Quando si stipula un contratto di lavoro, le parti stabiliscono gli interessi e la prestazione lavorativa alle quali adempiere. Da ciò, le modifiche successive devono essere sancite da un ulteriore accordo tra parti, non può essere l’azienda a fare tutto da sola. Ma c’è l’eccezione alla regola.
Se il datore per la salute dell’azienda deve ripristinare gli orari e l’organizzazione del personale, può licenziare chi non ha accettato il cambiamento di orario, sia in più che in meno. Questo perché l’azienda potrebbe aver preso la decisione di variare gli orari, proprio perché ha difficoltà a sostenerne i costi, e quindi deve adottare questi cambiamenti. Allora, il capo si trova legittimato a recedere dal rapporto di lavoro.
È chiaro che per finalizzare il licenziamento sia obbligo comprovare la situazione economica e organizzativa che lo necessita, in un modo tale da dimostrare che in nessun modo si può sostenere il costo del dipendente.
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