Arriva la pronuncia della Corte di Cassazione, il datore di lavoro può licenziare un dipendente sgarbato. La nuova ordinanza parla chiaro.
Un caso che è destinato a far discutere ancora a lungo, quello esaminato di recente dalla Corte di Cassazione. Con l’ordinanza numero 26440 del 2024, i giudici di Roma hanno definito legittimo il licenziamento di un dipendente che si era comportato in modo sgarbato – tramite espressioni scurrili – nei confronti di un cliente. Alla fine è stata data ragione al datore di lavoro, una pronuncia storica che stabilisce le linee guida per tutte le situazioni simili che si presenteranno in futuro.
Un esito che forse solamente in pochi avrebbero immaginato ma, contro ogni pronostico, si è concretizzato. È bene sottolineare, comunque, che la Corte d’Appello ha preso in considerazione anche i precedenti disciplinari del dipendente sopraccitato; questi non hanno fatto altro che corroborare la liceità dell’intervento. Per gli Ermellini si è trattato di una preziosa occasione per ribadire ancora una volta i principi fondamentali che regolano il licenziamento per giusta causa.
Licenziato per comportamento sgarbato, la Cassazione rigetta il ricorso
Alla fine la Corte di Cassazione ha deciso di respingere il ricorso presentato da un dipendente licenziato dal proprio datore di lavoro dopo aver rivolto espressioni non esattamente ‘dolci’ a un cliente dello stesso. L’ordinanza numero 26440 del 2024 è destinata a rimanere nella storia, soprattutto perché va a confermare i principi fondamentali che sottendono al meccanismo di licenziamento per giusta causa. Considerata la gravità dell’atteggiamento in campo, è sembrata inevitabile la pronuncia da parte dei giudici di Piazza Cavour.
E non solo, perché il comportamento è stato ulteriormente aggravato dalla mancanza di scuse e dalla prosecuzione della discussione con gli stessi toni accesi e sgarbati. Prendendo in esame i precedenti disciplinari del lavoratore, poi, il provvedimento del datore di lavoro è stato ritenuto accettabile e congruo.
Le disposizioni del licenziamento per giusta causa, ribadiscono dalla Cassazione, devono comunque essere interpretate da un giudice, questo infatti saprà tenere conto sia della coscienza generale sia dei principi giuridici che emanano dalle normative stesse in merito. Insomma, come in questo caso (e in tutti i casi simili che si ripresenteranno in futuro) dovrà essere preso in considerazione il quadro generale, evitando sapientemente le generalizzazioni.