Il 2021 è il quarto anno della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Un processo che fu avviato già nel 2018 pochi mesi dopo la visita di Trump nel oaese asiatico, che rimase colpito dalla forza politica del presidente Xi Jinping.
Lo scenario che si è delineato ha preso prima timidamente e poi con sempre maggiore evidenza gli aspetti di una Guerra Fredda, che non trova ha per il momento le condizioni strutturali per stemperarsi.
Esiste tuttavia una possibilità di modificare le circostanze che alimentano le diffidenze e i timori della politica occidentale, in particolar quelle degli Stati Uniti, data dalle strategie potenzialmente sovversive rispetto al nuovo ordine mondiale, stabilito dall’egemonia economico militare USA, che il presidente Xi Jinping porta avanti con successo e lungimiranza.
Il decoupling: l’alternativa alla guerra commerciale tra USA e Cina
Tra le possibilità emerse in un’ottica di collaborazione tra i due paesi c’è quella scientifica, in grado di avvicinare in modo indiretto i settori economici come quello tecnologico, nel quale si giocano la maggior parte delle rivalità in quanto rappresentativo dello sviluppo del potenziale bellico ed economico di un paese. La Cina in assenza di una collaborazione internazionale e vantaggiosa per tutte le parti coinvolte, potrebbe procedere con la sua attività di decoupling dell’economia.
Decoupling letteralmente significa disaccoppiamento o sganciamento, in termini economici indica una tendenza a decorrelare i mercati che tuttavia sono impegnati negli stessi settori. Al fine di raggiungere la modernizzazione del suo paese, la Cina è in grado di creare condizioni su mercato interno tali da riuscire facilmente ad affrontare i contraccolpi dell’economia internazionale, delocalizzando la produzione delle imprese che non richiedono grandi economie di scala, in tutti quei settori ritenuti strategici, in particolar modo il settore tecnologico, delle telecomunicazioni, dei servizi digitali.
L’effetto generale di una decorrelazione sistematica delle maggiori economie può essere dato in concreto dal disallineamento tra i rendimenti di titoli di stato di paesi strettamente affini dal punto di vista economico, o la presenza di aziende quotate negli stessi settori in grado di avere performance completamente diverse. In tutti i casi il fenomeno è tale da spostare la liquidità da un paese all’altro, dimezzando in questa duplicazione la ricchezza di uno stesso comparto economico, che viene così differita da un paese all’altro. Per evitare che questo avvenga serve un ambiente esterno stabile, in modo tale che le due maggiori economie mondiali possano continuare a svilupparsi senza necessariamente eliminare a vicenda una parte della propria ricchezza.
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Asymmetric competition: a strategy for China & technology
Il rapporto intitolato “Asymmetric competition: a strategy for China & technology” è stato redatto nell’estate del 2020 da un gruppo di esperti riuniti in modo informale, tra i quali Eric Schmidt che ha lavorato come amministratore delegato di Google, Hillary Clinton e Richard Fontaine, amministratore delegato del Center for a New American Security. In questo documento è evidente la concretezza della possibilità per la Cina di portare avanti il processo di decoupling, avendo guadagnato l’approvazione del tessuto industriale cinese dopo gli anni trascorsi sotto il peso degli effetti della guerra commerciale. Una parte degli autori è convinta che il futuro che è già presente si giocherà sulla divisione economica e ideologica tra le tecno-democrazie e i tecno-regimi, quasi tutti accomunati da un passato economico che ha corretto l’economia comunista con elementi del libero mercato, senza mutarne alla base le strutture di potere. Tra questi la Russia, la Corea del Nord e persino Cuba.
La natura della sfida si gioca su un perno delicato, nel quale le autorità illiberali sembrano già avere avuto la meglio, in relazione al compromesso tra libertà civili e democratiche e sicurezza nazionale. Secondo questo rapporto, i tecno-regimi sono accomunati dalla capacità di porre in essere i vantaggi dell’economia di mercato, supportando la prosperità della vita istituzionale per mezzo dei ritrovati tecnologici, derivanti proprio dagli sviluppi e dagli investimenti in ambito economico. Gli Stati Uniti così come le democrazie occidentali non possono concorrere in modo legittimo su questo piano, senza rischiare di venire sostituite e fallire nella guida delle proprie economie.
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Secondo il documento, questi paesi e in particolar modo la Cina, sono in grado di mettere in campo una serie di soluzioni atte a sottrarre competenze tecnico-scientifiche sviluppate nelle economie più avanzate, non solo attirando nel proprio paese multinazionali attraverso incentivi di natura fiscale, acquisendone i metodi al fine di riprodurre in proprio gli stessi modelli di business, ma anche utilizzando metodi impropri come lo spionaggio industriale o la sorveglianza sulle informazioni private dei propri cittadini.
Come le economie democratiche possono contrastare la Cina
Le soluzioni prospettate al fine di equilibrare gli esiti della competizione, sono:
- Affinare in senso strategico le alleanze in Occidente, come si è già visto nelle intenzioni espresse piuttosto chiaramente da Biden nell’ultimo vertice del G7.
- Investire nell’istruzione al fine di utilizzare le competenze tecnico.scientifiche per utilizzare il know out a beneficio degli sviluppi scientifici ed economici dei propri paesi.
- Coordinare le politiche dei paesi democratici in vista di un obbiettivo comune, tale da giustificare di conseguenza misure economiche le alleanze in contrasto diretto ai paesi non allineati. Si vedano le politiche concertate sulle direttive degli accordi sul clima di Parigi, sostituti moderni del rispetto dei diritti umani, in grado di catalizzare molto di questi il prestigio internazionale, si pensi all’ambiguità tra l’alleanza dell’occidente con l’Arabia Saudita e il rispetto dei diritti umani e civili nel paese.
Lo schieramento internazionale delle tecno-democrazie coinvolgerebbe dodici paesi tra i quali Germania, Francia, Regno Unito, Israele, Giappone, Canada, Corea del Sud e Australia. Al fine di evitare che la Cina possa portare avanti una sua strategia di decoupling, le differenze economiche assumono una connotazione ideologica, che conferisce un ruolo strategico al tessuto industriale dei paesi democratici, in grado di conferire vantaggi sul piano materiale attraverso lo sviluppo di settori quali la robotica, l’intelligenza artificiale e l’indipendenza energetica. In realtà il processo è in parte già cominciato nella misura in cui la Cina ha applicato il principio, di derivazione maoista, dell’autarchia economica, che comincia dall’autosufficienza del ciclo produttivo. Questo principio, derivato dall’economia di sussistenza all’epoca della guerra civile e della rivoluzione comunista del 1945, è tutt’oggi una delle caratteristiche culturali dell’economia politica cinese. Si pensi per esempio comem prima che il governo centrale si facesse carico della disoccupazione durante la crisi economica del 2020 trasferendo un pacchetto di aiuti del valore di 250 miliardi di dollari ai governi locali, questi avevano impiegato appena 12 miliardi, sufficienti per coprire i sussidi di disoccupazione per meno dell’1% dei lavoratori.
Si trovano degli esempi dell’applicazione del principio dell’autosufficienza del ciclo produttivo, nella decisione di sostituire pc e software stranieri con prodotti cinesi in tre anni, nelle politiche imposte a Huawei costretta a cercare gli approvvigionamenti per le sue componentistiche soltanto nel mercato interno, nella spinta al settore delle energie rinnovabili come il fotovoltaico, di cui la Cina è oggi il più grande produttore mondiale, nonché da quel fenomeno di isolamento informatico che prende il nome di “Great Firewall”, per mezzo della quale l’internet cinese è un mondo a parte rispetto a quello del resto del mondo, e di conseguenza ha informazioni, servizi e aziende che operano su di esso completamente autogestite.