Se lo stipendio tarda ad arrivare e magari non è neanche la prima volta che succede, c’è una procedura da seguire per tutelarsi davvero
Che quello che stiamo vivendo non sia un periodo economicamente florido lo sappiamo bene tutti. Le finanze domestiche, infatti, piangono di fronte agli enormi rincari ai quali le famiglie italiane sono sottoposte quotidianamente, soprattutto se si confrontano i prezzi dei beni di prima necessità con gli stipendi, sempre uguali a sé stessi se non diminuiti rispetto a qualche anno fa.
A complicare ulteriormente il tutto, poi, ci sono anche le difficoltà a cui sono sottoposte le aziende stesse, spesso messe in ginocchio da rincari sulle materie prime, sulla lavorazione o cali di vendite che obbligano i vertici a prendere decisioni drastiche come il calo del personale o la cassa integrazione. Nel caso in cui anche voi vi troviate in una situazione simile e stentiate a ricevere lo stipendio, c’è una procedura che dovete assolutamente conoscere per tutelarvi.
Per quanto la prima cosa che si vorrebbe fare, quando ci si rende conto che neanche quel mese si riceverà lo stipendio, sarebbe quella di irrompere nello studio del capo e urlargli addosso, spesso questa non è la strategia migliore per ottenere ciò che spetta. In primo luogo, infatti, i dipendenti devono sapere che, se non ricevono lo stipendio da almeno due mesi, possono avvalersi del licenziamento per giusta causa: in questo caso, possono recuperare il TFR prima che questo vada perso, per esempio nel caso di fallimento aziendale, inoltre possono richiedere la NASPI.
Nei casi di crisi aziendale grave, per esempio quando vi è un rischio di fallimento, l’azienda potrebbe procedere con la riduzione del numero di posti di lavoro. In questa situazione, il licenziamento viene considerato legittimo e può essere sia individuale che collettivo, a seconda del numero di dipendenti coinvolti. In questo caso, il datore di lavoro si accorda con i sindacati così da individuare precisi criteri con cui licenziare, che si basano di solito sull’anzianità di servizio, sui carichi di famiglia e su esigenze produttive ed organizzative.
Prima del licenziamento, però, anche in caso di alto rischio aziendale il datore di lavoro deve provvedere a verificare se, per i dipendenti, ci siano mansioni alternative in cui è possibile collocarli, anche con eventuale riduzione dello stipendio. Nel caso in cui si violi anche solo una di queste regole, il dipendente può contestare il licenziamento: per farlo ha tempo 60 giorni, periodo entro il quale deve inviare una PEC o una raccomandata di contestazione. Dopo 180 giorni, può agire con un ricorso davanti al Tribunale.
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