L’indice dei prezzi al consumo CPI è l’indicatore macroeconomico utilizzato per monitorare il tasso di inflazione e il costo della vita in un Paese.
Le variazioni del CPI, espresse in percentuali, mostrano il potere di acquisto della moneta in relazione alla media ponderata dei prezzi degli articoli che compongono un paniere di beni e servizi.
Osservando le variazioni dei prezzi al consumo è quindi possibile misurare l’effetto dell’inflazione o della deflazione sull’economia di un Paese. CPI o in italiano IPC è quindi il principale dato sull’inflazione. Questo riflette il calo del potere d’acquisto della valuta locale e in altre parole misura la variazione del costo della vita in termini di beni e servizi.
Le banche centrali hanno tra i loro obbiettivi di politica monetaria quello mantenere una certa stabilità economica, attraverso il controllo del tasso di inflazione. Il CPI viene pubblicato su base mensile, ma sono comuni anche i rapporti trimestrali e annuali. Il rilascio periodico dei dati sul CPI può causare una risposta dalle istituzioni come la Banca Centrale Europea in termini di un intervento sull’economia. A oggi solo un livello di inflazione pari al 2% è considerato salutare per lo sviluppo economico dell’eurozona.
Il CPI è stato creato per la prima volta nella prima metà degli anni 40. In quel periodo la seconda guerra mondiale determinava pesanti modifiche nelle catene di approvvigionamento e nella disponibilità delle materie prime. Con la creazione dell’indice si potevano così calcolare e monitorare le variazioni nel costo della vita. Nel 1984 la sua espressione è stata fissata ad un valore di base di 100. Ogni valore superiore o inferiore funge da indicazione diretta dell’aumento o della diminuzione dell’inflazione.
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Come viene usato l’indice dei prezzi al consumo e qual è il suo significato per i mercati?
I risultati espressi con questo indice scontano sul presente un informazione risalente al periodo precedente, che nel migliore dei casi si riferisce al mese passato. A seguito del rilascio del dato l’economia reale non è quindi veramente colpita da un mutamento a meno che non intervengano le forze politiche e le istituzioni. Diverso è il caso sui mercati finanziari. A partire dal mercato valutario, passando poi per quello obbligazionario e azionario, le ripercussioni possono essere importanti.
L’impatto sui mercati finanziari del CPI o indice dei prezzi al consumo, cambia a seconda della variazione del dato rispetto a quello precedente e dell’aspettativa di analisti e gli investitori. La discrepanza del dato rispetto al sentiment è la variabile determinante che causa volatilità sui mercati. La reazione degli investitori e dei trader anticipa sostanzialmente l’aspettativa di una reazione della Banca Centrale che potrebbe intervenire sui tassi di interesse. La Banca Centrale regola la liquidità per mezzo degli strumenti di politica monetaria, influendo sull’economia e sulle aspettative di crescita di aziende, importazioni ed esportazioni.
Esiste un alternativa al CPI?
L’indice dei prezzi al dettaglio RPI è un modo alternativo di misurare l’inflazione nel Regno Unito. Questo indice fu usato per la prima volta nel giugno 1947 ha costituito almeno fino al 2003 la base per calcolare e stabilire l’obbiettivo di politica monetaria della BoE, la banca centrale inglese.
Oggi il governo del Regno Unito utilizza ancora RPI per alcuni scopi, come l’aumento degli importi sui titoli indicizzati e la variazione degli affitti per le case popolari. I datori di lavoro britannici lo usano anche come punto di partenza nella negoziazione salariale e fino all’aprile del 2011 è stato usato come base per l’indicizzazione delle pensioni degli ex dipendenti del settore pubblico. Tuttavia, l’indice dei prezzi al consumo ora serve in gran parte a sostituire questo indicatore.