Per pianificare con successo un investimento è necessario stabilire qual è l’obiettivo a cui destiniamo il nostro capitale: vogliamo proteggerlo dal rischio, oppure evitare di perdere un guadagno potenziale?
Vi sono essenzialmente due direzioni che muovono l’investitore verso i mercati finanziari, conservare il proprio capitale e il potere d’acquisto, oppure accettando il rischio di perdite, valorizzarne il pontenziale.
In entrambi i casi la strategia di investimento sia essa orientata dall’avversione al rischio o dalla propensione, necessita di una diversificazione, ovvero una distribuzione bilanciata sugli asset in grado di generare quelle performance, che possono realizzare l’obiettivo che ci siamo prefissati.
La costruzione di un portafoglio parte quindi dal presupposto che il nostro capitale debba essere distribuito su porzioni di mercato che non abbiano tra loro una correlazione tale da vedere annullare i nostri risparmi nel caso quel settore dovesse attraversare una fase avversa di mercato. Concentrare il capitale su un unico settore ci espone a rischi eccessivi, non importa quante salde siano le nostre motivazioni, il mercato può variare in modi imprevedibili non solo per le capacità dell’investitore medio, ma persino per le stesse istituzioni che ne dovrebbero conoscere i dettagli.
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Approccio conservativo o aggressivo?
Se la tua paura principale è quella di perdere i risparmi, bisognerà evitare di esporli su strumenti con una volatilità pronunciata, evitando così drawdown, come ci ha mostrato anche la storia recente, dell’ordine del 30 o 40% che diventano un peso emotivo e pecuniario insostenibile. Il rischio è quello di liquidare le posizioni troppo presto, perdendo il capitale investito senza considerare nel corretto arco temporale il contesto economico.
In modo speculare, se la paura è quella di vedere i propri risparmi rimanere infruttuosi e la tua capacità d’acquisto diminuire progressivamente, mancando tutte le opportunità che il mercato e in grado di offrire, sarà necessario costruire un portafoglio bilanciato su strumenti con una volatilità maggiore. In questo modo è possibile compensare con il rischio la minore attesa e il maggior rendimento che questo tipo di asset allocation è in grado di offrire.
In sintesi un portafoglio costruito con un approccio aggressivo è l’ideale per coloro che hanno un’alta propensione al rischio e hanno necessità di avere ritorni in tempi ristretti, viceversa un portafoglio costruito con un approccio conservativo è l’ideale per coloro che sono avversi al rischio e hanno molto tempo a disposizione per vedere fruttare il capitale e rimanere investiti.
Proseguendo in questo senso possiamo considerare i due tipi di asset agli estremi per consentire una comprensione di quelli che dovranno essere i punti di partenza per selezionare la serie corretta di strumenti tramite il quale ottenere la diversificazione ottimale.
Avversione al rischio: portafoglio obbligazionario
Un portafoglio completamente dedicato al settore obbligazionario, può offrire un rendimento che considerato rispetto alla media degli ultimi novanta anni di mercato, è di circa 5,3% all’anno.
I due estremi di rendimento che possiamo considerare come la performance migliore e peggiore che possiamo aspettarci da questo genere di investimento è in modo indicativo, quella avvenuta nel 1982 con un ritorno del 32,6% mentre la peggiore è quella del 1969 con una perdita del 8,1%. C’è da notare che nonostante questo sia l’approccio più conservativo, un portafoglio simile sarebbe incorso in perdite per almeno il 15% degli anni in cui saremmo rimasti investiti. Questo significa ad esempio che in poco più di 12 anni di investimento, almeno due di questi sarebbero stati chiusi in perdita.
Propensione al rischio: portafoglio sul mercato azionario e obbligazionario
Immaginando di costruire un portafoglio basato completamente sul mercato azionario, considerando lo stesso arco temporale del portafoglio obbligazionario, avremmo a differenza di questo un ritorno annuale di 10,1% quasi il doppio rispetto a quello precedente, con un rendita massima del 54,2% e un drawdown e quindi una perdita del 43,1% che è almeno cinque volte superiore a quella massima registrata per nell’approccio conservativo. Per quanto riguarda il mercato azionario bisogna prendere in considerazione che dal punto di vista soggettivo, ottenere una prima scrematura delle quote di partecipazione su cui investire, necessità di guardare a quei settori o quelle aziende di cui si vorrebbe fare parte e non semplicemente sulle quali si vorrebbe speculare. Questo inserisce una variabile di merito e di consapevolezza nella scelta delle azioni da acquistare. La fase successiva di approfondimento necessaria consiste nel conoscere nei particolari le prospettive finanziarie dell’azienda e gli investimenti che intende fare nel breve termine. È inoltre necessario avere una minima cognizione degli andamenti quadrimestrali e delle notizie pubbliche sugli avvenimenti che coinvolgono l’amministrazione e l’immagine pubblica dell’azienda.
Il mercato obbligazionario invece è quel mercato del debito tramite il quale è possibile ottenere il pagamento di un interesse rispetto alla parte di credito effettuato in favore di soggetti economici, dalle aziende agli Stati. Per avvicinarsi a questo mercato è necessario conoscere la solvibilità dei soggetti di cui si intende acquistare l’obbligazione. Essa è generalmente misurata e classificata in base a un rating rilasciato da specifiche agenzie, atte a monitorarne la qualità secondo diverse variabili per determinarne la capacità di rispondere ai creditori e pagarne gli interessi. Più un creditore si dimostra affidabile, più le sue obbligazioni risulteranno apprezzate. Avendo quindi disponibilità di credito maggiori essi offriranno di conseguenza interessi minori. Viceversa obbligazioni di soggetti che svolgono un’attività imprenditoriale rischiosa a causa delle politiche aziendali o per via del particolare ciclo economico, possono avere una domanda ridotta di obbligazioni e quindi una maggiore difficoltà a ottenere credito e dovranno perciò offrire a fronte del rischio interessi maggiori. Così vale anche per quanto riguarda i titoli di Stato, i quali sebbene meno rischiosi di quelli aziendali, risentono comunque delle variazioni nell’assetto economico e finanziario del paese.
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Un esempio di diversificazione: l’indice S&P500
Un esempio che chiarisce il concetto di diversificazione applicato a un portafogli è quello costituito dall’indice azionario americano S&P500. L’indice infatti comprende le 500 aziende americane selezionate in base a criteri di merito finanziario rendendolo uno dei panieri azionari meno rischiosi. Nonostante la volatilità naturale che caratterizza il mercato azionario esso è in grado di rappresentare una diversificazione ottimale. Esso è composto da aziende provenienti da undici settori quali ad esempio informatica, energia, comunicazioni, immobiliare, sanitario, alberghiero. È possibile naturalmente ottenere azioni dell’indice avendo automaticamente un investimento bilanciato la cui variazione sarà relativa al valore ponderato di tutte le aziende quotate. L’indice S&P500 risulta particolarmente liquido ed è stato in grado di generare una rendita media negli ultimi dieci anni di circa il 30% all’anno.
Regole di base per la gestione di un portafoglio
Così come abbiamo stabilito due estremi dell’investimento secondo due opposti criteri, analogamente seguendo lo stesso principio è possibile stabilire l’allocazione del capitale secondo uno schema con tre portafogli tipici, il cui capitale è ripartito tra azionario e obbligazionario, in modo da definirne a grandi linee le caratteristiche di rischio.
- Aggressivo: 85% azionario e 15% obbligazionario
- Moderato: 60% azionario e 40% obbligazionario
- Conservativo: 30% azionario e 70% obbligazionario
Una volta stabilita la ripartizione delle nostre risorse finanziarie sui diversi asset, è necessario considerare quale sarà la gestione del nostro portafoglio. Lo stile di gestione di un portafoglio si può applicare per esemplificazione:
- in un modo quasi completamente passivo, dove le posizioni vengono mantenute sul lungo termine indipendentemente dalle fasi di mercato
- uno invece attivo che ottimizza l’apertura e la chiusura delle posizioni sugli asset in cui decidiamo di investire in base alle occasioni di prezzo.
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Generalmente è comunque necessario ribilanciare la diversificazione del portafoglio almeno ogni sei o dodici mesi, soprattutto se vi sono degli squilibri determinati dalla variazione del prezzo di un asset che comincia a risultare particolarmente influente sia sul nostro capitale in base alla percentuale di variazione, sia sul livello di esposizione al rischio che possiamo decretare tollerabile.
Un esempio di gestione con tre tipologie di asset può essere così rappresentato: obbligazioni 30%, azionario USA 40%, azionario Italia 30%. Ipotizzando ora una fase di mercato particolarmente positiva per l’azionario il nostro portafoglio si trova ora esposto in base ai pesi della variazione subita, con un obbligazionario al 15% l’azionario USA 50% e l’azionario Italia al 35%.
A questo punto sempre seguendo uno schema esemplificativo, potremmo riequilibrare il portafoglio portandolo alla sua allocazione iniziale, vendendo in base alla nostra propensione al rischio, una parte degli asset più volatili e riducendo le oscillazioni, compensando con l’acquisto di quella parte di asset che si trova ora a prezzi scontati. Allo stesso modo se pensiamo che un certo asset è vicino a un bear market ovvero un mercato ribassista potremmo ridurre l’esposizione, in modo più o meno progressivo, per avvicinare il portafoglio alla sua originale composizione, garantendo nel corso del tempo sempre quell’equilibrio che abbiamo decretato come ottimale, in base alle nostre aspettative e in base al nostro piano di investimenti.
Le informazioni presenti in questo articolo non sono da intendersi come un invito all’investimento né alla speculazione.