Il piano cinese è abbastanza chiaro: superare in modo graduale ma determinato il suo meccanismo di dipendenza dalle legislazioni e dalle politiche dei paesi occidentali. Il controllo di Hong Kong rientra nei piani geopolitici della potenza asiatica.
La politica finora in vigore denominata “Un Paese due sistemi”, inaugurata a partire dal 1997, è stata definitivamente interrotta a partire dall’introduzione quest’anno delle misure decise alla fine di maggio del 2020. Politica, economia e tecnologia, tre ambiti che Pechino vuole sotto il controllo delle regole e della visione del Partito Comunista Cinese. A questo proposito l’amministrazione Biden all’interno della sua strategia per sottrarre prestigio internazionale all’economia cinese, ha voluto lanciare un avviso di cautela agli investitori, che potrebbero essere minacciati da ripercussioni legali e finanziarie man mano che Pechino consolida la sua presa sulla vita politica ed economica dell’isola cinese.
Hong Kong è oggi una delle capitali finanziarie del mondo alla stregua di Londra e New York. Le aziende sul territorio devono iniziare a prestare cautela ai mutamenti in atto valutando correttamente i rischi di operare ancora sull’isola.
Le ragioni storiche della siuazione attuale di Hong Kong?
Dal 1997 Hong Kong è una regione amministrativa speciale cinese, sul piano territoriale essa fa quindi parte della Cina ma gode una forma speciale di autonomia, sia sul piano economico che sociale. Dal 1842, era stata una colonia britannica strappata all’Impero cinese dopo la guerra dell’Oppio. Nel 1878 I britannici ottennero dalla Cina la cessione per 99 anni dei territori che corrispondono all’attuale Hong Kong. Per questo motivo sull’isola si sviluppò una cultura di stampo occidentale veicolata da un’economia di mercato aperta agli stimoli e alle evoluzioni culturali e sociali, che derivano dagli scambi e dalle influenze con il resto del mondo. Il sistema scolastico era infatti modellato su quello inglese, così come quello giuridico e legislativo.
A partire dalla fine di maggio del 2020, la proposta di legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong decretata dal governo centrale di Pechino, ha portato il paese a quelle che sono state le proteste eclatanti ma inconcludenti dei suoi cittadini a cui abbiamo assistito fino all’arrivo delle misure restrittive dovute alla crisi sanitaria. La legge intende vietare con molte ambiguità e libertà interpretativa i movimenti secessionisti, le azioni sovversive contro il Governo centrale nonché contrastare le ingerenze straniere sul governo e l’amministrazione del territorio. La popolazione vede l’introduzione della legge come contraria ai suoi diritti e agli standard di libertà avuti fino a oggi. Le modifiche legislative consentirebbero alla Cina di istituire un mutamento profondo nella politica e nella società, applicando senza possibilità di mediazione un sistema costruito su misura da Pechino e molto diverso rispetto ai principi della common law.
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Le prospettive economiche delle aziende sul territorio di Hong Kong
Durante questi cambiamenti, le aziende hanno operato in un crescente disagio a causa dei mutamenti percepiti e la situazione di tensione sull’isola, dovuta soprattutto alla percezione di un destino ineluttabile che avrebbe peggiorato le loro condizioni. I cambiamenti a Hong Kong sono stati così rapidi che molti non hanno avuto tempo di prendere consapevolezza dei potenziali risvolti negativi. Le grandi aziende vogliono continuare a osservare la situazione prima di decidere di modificare eventualmente la sede del loro business. Le aziende del comparto finanziario come Citigroup e Goldman Sachs vedono tuttavia senza particolare allarmismo i mutamenti nella regione. A questo proposito si dicono intenzionate di assumere rispettivamente 1000 professionisti nei prossimi cinque anni per Citigroup e 320 per Goldman Sachs. Entrambe hanno intenzione di sfruttare il vantaggio economico dell’avvicinamento della legislazione di Hong Kong a quella del resto della Cina aprendosi la strada verso un mercato finanziario enorme, rappresentativo di 54 mila miliardi di dollari.
Da quando nel 1984 il primo ministro cinese e quello britannico firmarono a Pechino la Dichiarazione congiunta cino-britannica, venne stabilito che i territori che sarebbero stati restituiti alla Cina nel 1997, non avrebbero subito modifiche in senso socialista fino al 2047. Tuttavia è evidente che la Cina si trova ora nelle condizioni più favorevoli per una modifica unilaterale degli accordi e il ritorno a una coesione territoriale e politica, che dovrà concludere necessariamente, se vuole mantenere la sua economia al riparo dalle decisioni politiche e dalle eventuali sanzioni USA e occidentali.