I nuovi dati dell’Ocse fanno segnare stipendi più alti in busta paga, ma l’aumento è solo dello 0,3%.
Dopo il primo anno di pandemia, il Pil è rimbalzato di più del 6% e lo stipendio medio annuo italiano si è attestato a 29.694 euro.
L’Italia ha un incremento percentuale dei salari che negli ultimi 30 anni è il più basso d’Europa. 29.694 euro annui; una cifra che sembra importante ma è in realtà superiore di appena 100 euro a quello del 1991. In relazione alla variazione dei prezzi si scopre così che gli stipendi in Italia praticamente non crescono da più di 30 anni.
Investimenti ridotti e scarsa innovazione creano un mercato del lavoro e lavoratori sempre più poveri; anche per chi è protetto da un contratto nazionale guadagna meno di 9 euro lordi all’ora. Il salario spesso non basta a garantire una vita dignitosa a fronte delle ore di lavoro.
I lavoratori sotto la soglia di un salario minimo di almeno 7 euro netti sono 3,3 milioni, ovvero il 23,8% del totale. Meno di 780 euro al mese a cui si affiancano oltre 5 milioni di persone che percepiscono una pensione mensile inferiore a 1000 euro al mese. Lo scorso anno erano circa 900 mila le persone con un reddito inferiore ai 5000 euro annui.
Con l’inflazione, l’aumento del costo dei trasporti e dei beni di prima necessità oggi lo stipendio sembra ancora più risicato e non è solo un’impressione. Se confrontiamo le variazioni nello stesso periodo di tempo alle economie più vicine all’Italia del resto d’Europa scopriamo che i dati sono sconcertanti.
Secondo l’analisi dell’OCSE, negli ultimi trent’anni il valore degli stipendi italiani è rimasto tendenzialmente stagnante. Le crisi economiche non ne sono la causa, da ricercarsi nella struttura politica, nella pressione fiscale e nelle ricadute nel mercato del lavoro. Nonostante le promesse di cambiamento, di risparmio, di efficientamento ancora oggi le imposte gravano e limitano famiglie e imprese.
A fronte di 300 miliardi di salari lordi versati in media ogni anno nell’ambito privato, lo Stato incassa circa 100 miliardi di euro in contributi previdenziali e 80 miliardi di euro in Irpef tutti a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori.
Le cause di questi bassi incrementi sono attribuibili agli scarsi investimenti in innovazione tecnologica e occupazione, con importanti flussi di emigranti qualificati. Tutto ciò favorisce a mantenere bassi stipendi e a lavori dove prevale la precarietà.
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