Nel recente crollo il Bitcoin, rappresentando almeno il 60% della fetta di mercato dell’intera economia delle criptovalute, ha trascinato con sé l’intero listino. Ma alcune notevoli eccezioni rivelano quello che è successo.
Da qualche tempo i rapporti diplomatici degli Stati Uniti con Iran, Russia e Cina sono stati particolarmente difficili. Il gigante asiatico, soprattutto, ha dovuto mediare la guerra commerciale e l’ostilità riservata nei suoi confronti, creando necessariamente delle strategie per emanciparsi sul piano internazionale dalla necessità di ricorrere al dollaro.
Se questo può apparire ovvio per chi già conosce la storia dei due paesi o è attento alle dinamiche geopolitiche, non era scontato che l’uso delle criptovalute potesse rappresentare una parte della strategia cinese per la supremazia economica del paese sullo scenario mondiale.
L’accelerazione nell’adozione delle criptovalute ha visto in questi anni un continuo crescendo. Iniziata dalle community più ideologicamente vicine al progetto, la tendenza è cresciuta da un lato con l’inserimento delle criptovalute nel mondo della finanza tradizionale, con la creazione nel 2017 del future sul Bitcoin, dall’altro portando gli operatori nel mercato dei servizi di pagamento online (per esempio PayPal, Mastercard e Visa), nel mondo delle criptovalute.
Con il crescere della credibilità e del sostegno al progetto, e con la comprensione da parte delle istituzioni e dei governi del potenziale dell’economia decentralizzata, la Cina, che fa della propria egemonia economica e culturale l’asset principale per governare il proprio paese, ha dovuto prendere provvedimenti su quelle che erano le tendenze in corso. Dalla messa al bando delle aziende di mining nel proprio territorio alla creazione di uno yuan digitale, vuole arginare il rischio di vedere la diminuzione del controllo statale sull’economia e sulla finanza, con il conseguente ridimensionamento del potere del governo centrale.
Con il progredire del progetto Digital Currency Electronic Payment (DCEP) inaugurato a inizio marzo, per la diffusione dello yuan digitale, per il governo cinese sarà possibile gestire e coinvolgere tutta quella parte di popolazione, rappresentante almeno 80% dei cinesi, che utilizza gli smartphone per effettuare pagamenti nei negozi e scambiare denaro, oltre a inserire nel circuito finanziario quella parte di connazionali che ancora vive nei villaggi o nelle zone rurali e non ha perciò accesso a un conto bancario.
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Per il cittadino cinese nulla è più semplice che muoversi per i negozi e pagare attraverso Alipay e Wechat pay, due applicazioni dei colossi del settore tecnologico Alibaba e Tencent, che hanno rischiato di creare un duopolio nel mercato dei servizi e dell’e-commerce cinese. Il governo è stato recentemente coinvolto in misure di monitoraggio e limitazioni nei confronti di Alibaba, sulla cui applicazione è disponibile il servizio Alipay, sanzionandolo per concorrenza sleale. Tra le motivazioni, Alibaba era in procinto di creare una propria versione dello yuan digitale, che visti i numeri avrebbe letteralmente spodestato l’autorità governativa.
Le applicazioni mobili rappresentano il 16% dell’economia cinese. Per avere un termine di paragone, negli Stati Uniti lo stesso settore vale meno dell’1% dell’economia. È plausibile che il governo consideri le criptovalute e sistemi open source basati sulla blockchain, che possono diventare popolari quanto i sistemi di applicazioni oggi utilizzate quotidianamente dalla popolazione, parte integrante della loro strategie di sicurezza nazionale.
Bisogna naturalmente precisare che la Central Bank Digital Currency (CBDC), le valute digitali emesse dalle banche centrali, sono semplicemente la versione digitalizzata delle valute nazionali e risultano antitetiche sul piano concettuale alle criptovalute, in quanto nate proprio dalla vocazione libertaria di decentralizzare i pagamenti e i servizi. Queste tuttavia consentono potenzialmente di stabilire un’egemonia della valuta nazionale sull’economia degli altri paesi, in quanto creano un legame diretto tra l’uso delle applicazioni e la moneta digitale.
Tutto ciò rappresenterebbe un grande vantaggio dal punto di vista geopolitico, considerando che con questa versione dello yuan la Cina non avrebbe più bisogno del coinvolgimento del dollaro americano o di sue istituzioni di credito, per effettuare una parte delle sue transazioni internazionali. Il gigante asiatico sembra avere tutta l’intenzione di proseguire nel suo processo di indipendenza dal dollaro scorrelando contestualmente parti della sua finanza.
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Si potrebbe dire che il modo migliore per evitare di essere sorpresi dai propri nemici è confondersi tra loro, quindi per evitare che le criptovalute possano sfuggirti di mano, acquistane quanto il tuo avversario.
Nonostante la Cina negli ultimi anni abbia cercato di ostacolare lo sviluppo delle criptovalute nel suo paese, ha contestualmente permesso lo sviluppo del suo network blockchain. Esso è in grado di fornire supporto per lo sviluppo di applicazioni adattate anche al mercato internazionale. Esse possono facilmente svilupparsi al di fuori della Cina, in quanto le aziende cinesi hanno la capacità di sviluppare prodotti in grado di soddisfare meritoriamente i gusti dell’utenza occidentale. Con 39 milioni di cinesi che vivono fuori dal paese, ma hanno ancora rapporti con familiari o conoscenti che vivono nel territorio, è facile immaginare come l’uso dello yuan e del network blockchain possa coinvolgere parti dell’economia transnazionale.
Non è un caso che forse l’unica criptovaluta ad aver incrementato notevolmente il suo valore durante il crollo del Bitcoin è Neo, accompagnata dal picco eccezionale di transazioni sulle stablecoin, legate al valore del dollaro, con i quali sono stati probabilmente convertiti i miliardi di dollari di Bitcoin venduti. L’obiettivo dei creatori di NEO è similmente come quello di Ethereum, la quale è però completamente correlata al valore del Bitcoin: creare un network dove l’economia digitale cinese e internazionale possa svilupparsi.
Da un’idea degli imprenditori Da Hongfei e Erik Zhang che l’avevano creata nel 2014 con l’obbiettivo di modernizzare le transazioni commerciali approfittando della rivoluzione digitale appena cominciata, rappresenta la prima blockchain open source cinese. Nel tempo ha dimostrato la sua affidabilità attirando l’interesse degli investitori, con un valore è cresciuto, passando da 14 dollari di dicembre 2020 ai 106 dollari attuali.
NEO rivela la sua importanza anche dal punto di vista strategico, in quanto è in grado di supportare molti linguaggi di programmazione. Ciò significa che è un sistema aperto in grado di accogliere nel progetto chiunque sia in grado di utilizzarlo, senza necessariamente dover apprendere un nuovo linguaggio di programmazione. In questo modo è possibile incentivare gli sviluppatori a utilizzare questo sistema blockchain, per realizzare applicazioni e smart contract, che trovino impiego nell’economia locale o diffondersi a seconda della nazionalità degli autori a livello internazionale.
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