Le grandi aziende tecnologiche cinesi, tra le più importanti dal punto di vista della loro capacità di influenza e capacità di espansione economica, sono state nell’ultimo anno gli obbiettivi dell’accelerazione nella strategia di Xi Jinping di riportare all’ordine della disciplina politica le grandi aziende cinesi.
I legislatori cinesi stanno pianificando delle modifiche all’interno del quadro normativo che disciplina il settore economico finanziario del Paese, al fine di impedire che le aziende cinesi possano quotarsi su mercati esteri senza il consenso diretto di Pechino.
La causa principale del fenomeno è da attribuire al tentativo, nella strategia di Xi Jinping, di escludere le eventuali ripercussioni economiche date dal rischio imprenditoriale, connaturato a un’economia di mercato e insita negli eccessi dell’espansione di queste aziende, nonché alla loro influenza su servizi divenuti ormai essenziali nella vita dei cittadini cinesi. Allo stesso tempo è necessario per Pechino escludere ogni possibile intromissione nelle politiche del governo, date dal potere economico di queste grandi aziende, capaci di mettere in discussione le politiche e amplificare tramite i loro stessi servizi la portata delle loro affermazioni.
L’emersione delle grandi aziende tecnologiche impegnate nel settore digitale sono in grado di mettere a repentaglio la capacità normativa dei governi e orientare l’informazione o esporre i decisori politici alle evidenze della loro vulnerabilità rispetto alle dinamiche economiche.
La Cyberspace Administration of China mette al bando Didi Chuxing
Una possibilità a cui il governo cinese sembra tutt’altro che volersi rassegnare, lo dimostra anche il recente caso che ha coinvolto Didi, l’applicazione di trasporto privato più popolare della Repubblica Cinese, che a partire da domenica 4 luglio non potrà più essere scaricata dai suoi cittadini. Le accuse da parte della Cyberspace Administration of China, l’agenzia di sicurezza informatica cinese è di violazione delle normative sulla sicurezza dei dati. Fino a che la multinazionale cinese non correggerà i problemi messi in evidenza dal governo di Pechino, non potrà più registrare nuovi utenti sulla sua piattaforma e rischia altresì di dover sospendere i suoi servizi per tutti quelli che attualmente ne fanno uso.
L’autorità di vigilanza del mercato cinese sta portando avanti da più di un ventennio i suoi suo sforzi per impedire che l’internazionalizzazione delle sue aziende possa dare problemi all’amministrazione di Pechino. Le aziende non solo possono essere in grado di eludere i controlli fiscali, ma anche quelli sulle politiche di sicurezza nazionale, relative all’enorme mole di dati che gli utenti cinesi riversano con l’uso di queste applicazioni.
Lo scenario che si sta delineando è in grado non solo di mettere a repentaglio il potenziale del settore finanziario, con una perdita potenziale di 7,6 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti, rappresentativi degli introiti raggiunti in media dalla vendita delle azioni di queste aziende, ma costituire anche l’avanzare di quello che è il pericolo economico del decoupling.
Il Decoupling, che significa disaccoppiamento o sganciamento, in termini economici indica la decorrelazione di mercati che sono impegnati negli stessi settori. L’effetto generale di una decorrelazione sistematica delle maggiori economie è tale da spostare la liquidità da un paese all’altro, dividendo di fatto la ricchezza in circolazione.
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Le motivazioni delle limitazioni verso Didi Global
Bisogna considerare il tempismo che l’amministrazione cinese ha avuto su questo tipo di limitazione, già nel novembre del 2020 Didi aveva intenzione di quotarsi pubblicamente con una IPO, salvo essere bloccata da nuovi regolamenti sui finanziamenti privati sul territorio cinese. È facile sostenere a questo punto che Didi Global quotata il 30 giugno sul NYSE sia stata messe sotto indagine per le sue ambizioni sul mercato internazionale, costituendo tra l’altro quella che è stata la più grande offerta pubblica per un’azienda cinese sulla borsa americana e pari a 4,4 miliardi dollari.
È evidente quindi che non si tratta solo di soldi, con circa 900 milioni di cinesi che utilizzano la rete è sempre più crescente il coinvolgimento del settore digitale nelle loro attività quotidiane e di conseguenza la raccolta dei dati indispensabili a rendere l’amministrazione consapevole delle tendenze economiche, politiche e culturali che si sviluppano nel Paese. In conseguenza dell’approdo massiccio di utenti sui servizi e sulle applicazioni, queste hanno finito con diventare dei veri e propri ecosistemi, offrendo all’interno dei loro servizi di base, opportunità finanziarie come pagamenti, microcredito e l’accesso ai servizi pubblici.
Il caso emblematico di Ant Group
Per avere un termine di paragone basti pensare che Ant Group, una volta conosciuta come Alipay, gigante cinese che gestisce un servizio di pagamenti digitali sotto lo stesso proprietario dell’e-commerce Alibaba, insieme a Tencent proprietaria dell’applicazione WeChat, hanno un valore di circa 2 mila miliardi di dollari tale da superare quello di Bank of China, la più grande banca cinese.
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Proprio quello di Ant Group è un caso emblematico della commistione presente ancora oggi nella Cina moderna tra economia e ideologia. La multinazionale è stata accusata ad aprile di concorrenza sleale e costretta a pagare una multa del valore di 2,8 miliardi di dollari, con l’aggravante di dover modificare il suo business plan in relazione a quelle che saranno le indicazioni delle autorità cinesi.
La stessa severità ha colpito il settore digitale coinvolgendo anche Tencent, con il rischio di dover seguire regole, inadeguate alla realtà imprenditoriale di un mercato globale, che da ora in poi saranno in grado di limitare fortemente la sua capacità economica. La regolamentazione si è estesa anche sul controllo del traffico dei servizi di pagamento di Ant Group e dell’applicazione di messaggistica WeChat, che dovranno mettere a disposizione del controllo governativo i dati dei propri utenti.