La carenza di vitamina D da diritto all’assegno di invalidità? Rispondiamo a questa domanda analizzando le varie patologie collegate.
La vitamina D aiuta il corpo assorbire il calcio, essenziale per le ossa. Tra gli altri ruoli, contribuisce anche al funzionamento di muscoli, nervi e sistema immunitario. Molti scienziati hanno studiato come la carenza e l’integrazione di vitamina D possono influenzare la malattia. Negli ultimi due anni le ricerche sulla vitamina D sono aumentate, anche per le possibili associazione sulla riduzione dei rischi associati al Covid-19. Le ricerche sono ancora in corsa e nulla al momento è certo.
Tuttavia, i notevoli effetti della vitamina D, sono stati riscontrati sulle malattie cardiovascolari e sul rischio di cancro. Attualmente, questi tipi di studi rappresentano il gold standard per identificare le relazioni causali nella ricerca scientifica. Un recente studio apparso sull’American Journal of Clinical Nutrition (Integrazione di vitamina D e prevenzione delle malattie cardiovascolari e del cancro nello studio finlandese) affronta i vari benefici e le possibili lacune di conoscenza sugli effetti.
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Gli italiani, purtroppo, non assumono la giusta quantità di vitamina D giornaliera e la sua carenza può sfociare in problemi di salute da non sottovalutare. La vitamina D è soprannominata la vitamina del sole, perché si produce con una semplice esposizione al sole, anche solo per dieci minuti.
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Questa vitamina particolarmente importante per il nostro organismo, e la sua carenza può danneggiare le ossa e innescare patologie come la periodontite (infiammazione delle ossa che sostengono i denti). Ma questa non è l’unica patologia, infatti, legate alla mancanza di vitamina D anche le patologie di osteoporosi e osteomalacia.
Gli studiosi hanno evidenziato, attraverso vari studi, che la carenza di vitamina D può portare a patologie invalidanti che danno diritto all’assegno di invalidità e nei casi gravi di impossibilità di deambulazione, anche all’indennità di accompagnamento.
L’osteoporosi colpisce circa 5 milioni di persone, e circa l’80% sono le donne in menopausa. L’osteoporosi di per sé non è considerata una malattia invalidante, infatti, non è presente nelle tabelle ministeriali ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile. Questa patologia è difatti, una malattia degenerativa, quindi, non è riconosciuta come una malattia cronica ma, come un naturale processo di invecchiamento. Tuttavia, l’invalidità per osteoporosi può essere riconosciuta quando la patologia compromette la capacità lavorativa.
A riconoscere lo stato invalidante è la Commissione medica INPS che dovrà valutare la situazione clinica del richiedente e le conseguenze di tale patologia.
Se le conseguenze della patologia per osteoporosi, sono tali da impedire gli atti di vita quotidiana, si ha diritto anche all’indennità di accompagnamento e al verbale di legge 104 con handicap grave.
Ricordiamo che l’accertamento della legge 104 con handicap grave da diritto ad innumerevoli benefici previdenziali ed economici. Inoltre, ci sono anche agevolazioni per i lavoratori dipendenti. Le agevolazioni sono riconosciute per se stesso e per il familiare che si assiste, in possesso del verbale legge 104 art. 3 comma 3.
La prima diagnosi per riscontrare se la patologia comporta il riconoscimento dell’invalidità civile, è effettuata dal medico curante che dovrà inoltrare all’INPS il certificato medico introduttivo. Poi, l’interessato dovrà inviare la domanda di invalidità civile, legge 104 o indennità di accompagnamento, entro 90 giorni dal rilascio del certificato.
Nella domanda dovrà essere inserito il numero di protocollo dell’invio del certificato medico all’INPS, rilasciato dal medico curante. L’istanza può essere inoltrata direttamente tramite il portale INPS, oppure, tramite il patronato che potrà assistere il richiedente nel disbrigo della pratica in modo gratuito. Da qui inizia l’iter per valutare se la patologia da diritto ad una percentuale di invalidità, attraverso la visita della Commissione medica INPS.
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