Se l’Occidente si appresta a uscire dall’emergenza sanitaria, si prepara tuttavia ad entrare in un nuovo mondo, avviandosi verso una sostanziale ripresa economica in uno scenario di mutamento epocale sia dal punto di vista politico che sul piano degli equilibri internazionali.
Sembra difficile credere che le aziende continueranno a seguire i consueti modelli di business, applicando le logiche produttive ai mutamenti in corso. Questo non significa che sul breve periodo le transizioni che stiamo vivendo, da quella della politica economica a quella digitale fino a quella ecologica, non possano venire sfruttate in termini economici, accelerando quelle che sono le dinamiche tendenziali di crescita di Italia, Europa e Stati Uniti. La pandemia sembra aver già prodotto uno spostamento delle potenzialità economiche verso i mercati di Cina e sud est asiatico. Tra i paesi sviluppati, il colosso asiatico è l’unico secondo i dati rilevati dal Fondo Monetario Interazionale, ad avere avuto una crescita positiva nel 2020 pari al 2,3% del Pil.
Le dinamiche attuali stanno dando forma a nuovi rapporti di forza tra gli stati e avranno senza dubbio ripercussioni anche dal punto di vista delle prospettive per il cambiamento climatico. Usa, Cina, Europa sono coinvolti politicamente prima che economicamente nel perseguimento degli obbiettivi per raggiungere la neutralità energetica, segnando le tappe della loro decarbonizzazione fino al 2050. Il sistema produttivo di conseguenza deve diventare responsivo e ha già mostrato segni di profondo mutamento, soprattutto nei comparti dei trasporti, come il settore dei veicoli elettrici, quello degli idrocarburi e naturalmente il settore finanziario e creditizio, che investe e finanzia tra tutti anche i settori maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti.
La lotta al cambiamento ambientale rappresenta un indotto che, al fine di raggiungere gli obbiettivi prefissati dagli accordi di Parigi sul clima, necessiterà globalmente di 100 mila miliardi di dollari in trent’anni. Vedremo nei prossimi anni se la transizione sarà sostenibile e i paesi saranno sufficientemente allineati da consentire la riduzione del riscaldamento globale. Intanto le aziende e il mondo della finanza, indispensabile per reperire i capitali, stanno sfruttando gli incentivi e l’incremento della domanda sfruttando quelle sono conosciute dal 2007 come obbligazioni verdi o green bond. I green bond sono obbligazioni societarie che vanno a finanziarie attività economiche e progetti in linea con caratteristiche di sostenibilità ambientale, come il trattamento dell’acqua e dei rifiuti, iniziative legate alla prevenzione e controllo dell’inquinamento dei processi produttivi, delle infrastrutture e dei trasporti, la produzione di energia da fonti pulite e la riduzione delle emissioni delle aziende che non possono modificare la propria politica industriale.
Negli ultimi tre anni l’emissione dei green bonda è più che triplicata, passando dai 20 miliardi di euro del 2017 a oltre 60 miliardi, raggiunti soltanto nei primi sei mesi del 2020. Un trend analogo è quello del settore degli ESG, cresciuti in media nello stesso periodo di tempo del 25%. Gli investimenti socialmente responsabili permettono di valutare le performance di un impresa o di un asset finanziario, non tanto in base ai suoi risultati economici quanto in relazione all’impatto che la sua attività genera dal punto di vista ambientale e sociale. Anche nel nostro paese le emissioni delle obbligazioni verdi sono più che raddoppiate e sembra che circa il 70% delle imprese italiane abbiano attualmente redatto un piano economico o industriale al fine di accrescere l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale.
Paradossalmente, il cambiamento climatico diventa sempre più remunerativo anche dal punto di vista degli effetti degli eventi climatici estremi. Il settore delle costruzioni è trainato dalla domanda per la costruzione e l’adattamento degli edifici agli effetti distruttivi del clima. Soltanto nei paesi in via di sviluppo questo settore deve compensare la domanda per la maggior parte degli edifici e sarà in grado per questo di generare un indotto pari a circa 70 miliardi di dollari, con una crescita dai 140 fino ai 300 miliardi nel 2030. Nonostante possa sembrare poco etico speculare sui danni dei fenomeni climatici, ogni intervento finalizzato al recupero e all’adattamento dell’edificio a uno standard idoneo di sicurezza, produce un risparmio di 3,5 dollari per ogni dollaro di investimento.
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Questo tipo di intervento può essere visto anche in ottica ecologista. Basti pensare al recupero delle zone boschive atte a limitare i danni causati dalla pioggia e dalle conseguenti inondazioni o dalle frane, il recupero della crescita delle barriere coralline che riducono i danni sulla costa causati dalle tempeste, con un rapporto in termini di costo benefici sei volte superiore alle spese iniziali. All’interno della logica di protezione dal rischio climatico saranno possibili in futuro emissioni di obbligazioni correlate alla resilienza aziendale, già oggi l’Unione Europea sta portando avanti iniziative al fine di rendere obbligatorio per le grandi aziende pubblicare una stima dei rischi climatici a cui sono vulnerabili, in modo da consentire una adeguata presa di consapevolezza dei rischi per gli istituti di credito e per gli investitori qualora l’azienda fosse quotata in borsa.
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