Cosa succede sul fronte buoni pasto, c’è la possibilità dell’addio? La protesta delle associazioni di categoria, le ragioni e i dettagli al riguardo
Alta l’attenzione sul tema buoni pasto, con una protesta scoppiata, che vede coinvolte le associazioni di categoria, che alzano la voce in vista della gara di appalto che sta per arrivare: cosa sta accadendo e perché senza una riforma potrebbe consumarsi l’addio? I dettagli in tal senso, di seguito.
Una tematica che tiene banco, quella in oggetto, come si legge su Money.it, con le commissioni arrivate ormai al 20%, una condizione che gli operatori non ritengono più sopportabile, informano le associazioni di categoria. I rappresentati di Conad, Coop, Fiepet Confesercent, Federdistribuzione, Fida, e Fipe Confcommercio fanno scattare l’allarme, e al riguardo si legge. “Dopo due anni di pandemia, e il rincaro delle materie prime e dell’energia, non sono accettabili livelli di commissioni sul livello di quelle precedenti”.
Qualora non vi fossero cambiamenti circa le commissioni, mediante una riforma radicale del sistema, potrebbe esserci la mancata accettazione dei buoni pasto da parte di aziende ed esercizi di ristorazione. Una protesta delle associazioni di categoria a quello che da loro viene definito quale “ricatto della Pubblica Amministrazione“, e legata alla richiesta di una riforma complessiva e radicale del sistema legato ai buoni pasto.
Buoni pasto, la protesta: il tema commissioni e la richiesta: rischio addio
Sono tanti e diversi i temi che hanno a che fare con l’economia, a vario livello, che destano interesse ed attenzione, si pensi ad esempio al tema lavoro e alla mancanza di personale, con i settori che sono alla ricerca.
Per quanto concerne il tema in oggetto, come approfondito da Money.it, le associazioni di categoria riunite lanciano l’allarme e ritengono che il sistema dei buoni pasto non sia più sostenibile; il presidente di Fipe, Stoppani, ha spiegato che in seguito a 2anni di pandemia e al rincaro di materie prime ed energia “non sono accettabili livelli di commissioni sul livello di quelle precedenti”.
Ma non è la sola voce, si legge, e c’è chi spiega che le imprese non possono più farsi carico del welfare dei lavoratori. La presidente Fida, Prampolini, sottolinea che sono “di fronte a un ricatto perché i tempi dei pagamento non sono mai immediati. E le aziende ci offrono pagamenti magari a sette giorni solo in cambio di ulteriori rialzi delle commissioni”.
Si legge su Money.it che per ciascun buono pasto da otto€, l’incasso dell’azienda è di poco superiore a sei; considerando la crisi economica, il caro di energia e prodotti alimentari, vi è una spesa insostenibile da coprire soltanto col buono pasto. Perciò, la protesta delle associazioni è pronta a proseguire, basandosi sui numeri.
Nel 2019, riporta l’Ansa, vi è stata l’emissione di cinquecento milioni di buoni pasto per un valore totale di 3,2miliardi di €. Ad averne beneficio, all’incirca tre milioni di lavoratori, tra cui un milione sono dipendenti pubblici. Nel totale, in base a quanto riportato, ciascun giorno dipendenti pubblici e privati spendono nelle attività ed in tutti gli esercizi convenzionati, tredici milioni di buoni pasto.
La richiesta che vede unite le associazioni di categoria richiesta una riforma radicale, tanto economica quanto morale. Come affermato da Stoppani, presidente Fipe-Confcommercio, questi ritene non accettabile che lo Stato, in periodo come quello che si sta vivendo, in merito all’economia e alla crisi dei pubblici esercizi, “ponga una nuova tassa sulla ristorazione, perché così noi la definiamo, con assegnazione di gare di appalto con tassi di commissioni sempre maggiori”.
La richiesta riguarda la salvaguardia del valore nominale dei titoli, con un buono dal valore di 8 euro deve avere tale valore, e la definizione per quanto riguarda tempi certi di rimborso da parte delle società emettitrici. Qualora ciò non accadesse, potrebbe consumarsi l’addio ai buoni pasto, si legge.
Sulla tematica si è pronunciato il Codacons: “Qualsiasi limitazione o impedimento al loro utilizzo costituirebbe un ingiusto danno a chi ne benefici”, viene affermato dal presidente Rienzi, che aggiunge: “e apre la strada ad azioni risarcitorie contro ristoratori e imprese della distribuzione che rifiuteranno l’accettazione dei ticket”.