Alcune dichiarazioni rilasciate da Flavio Briatore hanno scatenato non poco disappunto sul mondo dei social.
Stando al noto imprenditore l’Italia sarebbe il Paese dell’invidia sociale.
Cominciamo dalla frase incriminata e proferita proprio da Briatore: “I poveri non creano posti di lavoro”.
Da qui all’ira dei social sono pochi attimi. Certo il personaggio ben si presta a tali circostanze, eternamente e nel bene o nel male sotto i riflettori.
Flavio Briatore torna nelle mire dei social dopo un’affermazione al veleno. Nessun povero avrebbe mai creato lavoro, il sunto di una clip caricata sul suo profilo Instagram, una invettiva scagliata contro quanti disprezzino i più facoltosi.
Stando a Briatore i ricchi sarebbero gli investitori, gli amministratori di aziende e quanti offrano posti di lavoro. Un modo per sfatare il mito del ricco sulle spiagge dei Caraibi.
L’intervento è in risposta alle diatribe del mese di agosto. Il mese scorso, infatti, il Twiga, locale di sua proprietà, presso Forte dei Marmi, ha riportato ingenti danni in seguito a maltempo. Non mancarono interventi (post fb e ig) di grande gioia per quanto accaduto espressi da tanti fruitori social.
L’imprenditore piemontese li aveva appellati come “poveretti”. Una diatriba lunga anni ormai, Briatore versus considerevole fetta dell’opinione pubblica italiana, alla quale egli imputa di essere maldisposta verso l’universo delle imprese e di protrarre una concezione della vita improduttiva e sintomo di una celata ma cospicua invidia sociale.
Ma pur volendo essere comprensivi di tutte le opinioni, quella di Briatore è un’affermazione piuttosto ovvia e quindi priva di senso e di ogni logica di ostentazione. I posti di lavoro possono essere predisposti solo dallo Stato, dalle imprese, aziende, società, insomma da chi detenga i fondi e i capitali opportuni all’investimento.
L’offerta di lavoro passa da una base economica che sia quanto meno solida. E allora perché perdersi in polemiche su polemiche?
Stando a Briatore la Repubblica si fonderebbe sul Pauperismo, postumo di un patrimonio culturale cattolico-sociale ben attecchito nella penisola.
Il fondo del pensiero di Briatore non dovrebbe essere un disprezzo dei meno abbienti. L’imprenditore la vedrebbe come un rapporto di dare e avere reciproco: i poveri avrebbero necessità dei ricchi per trovare lavoro e i ricchi avrebbero occorrenza dei poveri per la produzione e la relativa fatturazione. Come a dire, il mercato di lavoro è rete, connessioni di rete.
Anche lavoro manuale e intellettuale sarebbero interconnessi. Dal secondo passerebbe il progredire e l’avanzamento del secondo, ovvero di una società produttiva.
Oltre che a Briatore e alle sue vicende (magari di relativo interesse ai fini di un vero processo di sviluppo del Paese) l’opinione pubblica potrebbe indignarsi di più sulla carenza di meritocrazia nel percorso professionale di troppi cittadini, su due costanti italiane come clientelismo e nepotismo, oppure sulle infinite raccomandazioni, sui contratti fasulli e irrispettosi dei lavoratori, sui brogli ai concorsi e sui tantissimi e grandi evasori fiscali.
Insomma, mira di disapprovazione nazionale non dovrebbe essere l’imprenditore produttore di lavoro e rispettoso dei dipendenti, generatore di ricchezza e ricavato fiscale per lo Stato.
Insomma, in un Paese come il nostro, dove tutto gira un po’ come gli pare, potremmo prendere la questione di Briatore come un’occasione, quella di cominciare a riflettere su ciò che rende davvero arenato il nostro mondo del lavoro.
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