Negli ultimi anni è stata posta molta attenzione agli effetti collaterali causati dal mining del Bitcoin, l’infrastruttura con cui la criptovaluta viene sostenuta attraverso la capacità computazionale.
Negli ultimi anni e soprattutto in questo giorni, si è tornato a parlare, forse definitivamente, dell’impatto ambientale causato dalle attività di mining del Bitcoin. Quali sono motivi del recente crollo e le prospettive di prezzo future?
Proof of Work è il protocollo di verifica crittografica decentralizzato, con il quale il Bitcoin così come altre criptovalute, operano la verifica delle transazioni. Essendo stata questa la prima delle criptovalute, ha risentito più di tutte degli effetti che i suoi protocolli, con un ritardo tecnologico di quasi dieci anni, hanno avuto sulla sua sostenibilità ambientale, così come ultimamente sull’etichetta a cui ormai verrà associato, quella di un sistema antiecologico da superare.
Naturalmente maggiori sono le transazioni che vengono effettuate sugli exchange coinvolgendo il Bitcoin, maggiori sono gli effetti collaterali sul clima, in quanro ogni nuovo blocco aggiunto alla blockchain necessità di nuova potenza di calcolo per essere processato. Il consumo energetico degli hardware, necessari a effettuare i processi di mining, superano ormai i 50 Twh. Considerando che ogni terawatt orario corrisponde a un miliardo di Kwh, questo significa che il suo consumo energetico è pari a quello di intere nazioni come ad esempio i Paesi Bassi.
Esistono criptovalute totalmente dedicate a combattere l’impatto ambientale causato dall’utilizzo dei carburanti fossili, come ad esempio Solarcoin, una criptovaluta che è stata creata appositamente per incentivare l’uso dell’energia solare, distribuendola ogni Mw di energia solare generata.
Nonostante questo il Bitcoin è stato fino a mercoledì scorso considerato un buon investimento, anche da Elon Musk, che ha legato la sua immagine a quella della sua più nota azienda, la Tesla, all’impegno sulla decarbonizzazione. Troppo tardi forse, in quanto per anni almeno il 65% del mining è avvenuto in Cina, dove le piccole aziende per sostenere i loro impianti elettrici, utilizzavano fonti energetiche non rinnovabili, compreso il carbone.
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È possibile che le attività finanziarie comincino a essere valutate per il loro impatto ambientale, dovendo provvedere a sostenere tassazioni o rispettare stringenti regolamenti rispetto alle loro emissioni.
Elon Musk dopo l’annuncio di mercoledì su Twitter in cui affermava che di non accettare più Bitcoin per l’acquisto delle auto elettriche prodotte da Tesla, ha dichiarato con un post ufficiale di avere comunque mantenuto in portafoglio i Bitcoin, sul quale aveva annunciato a febbraio di quest’anno di avere investito 1,5 miliardi di dollari. È naturale pensare che se le cose non dovessero cambiare in futuro, Musk potrebbe liquidare, ammesso che non l’abbia già fatto, tutto il suo investimento.
Dal punto di vista tecnico le sue quotazioni stanno naturalmente affrontando una fase discesista, con forti correzioni della trend rialzista che durava da circa sette mesi. Dopo avere perso circa il 26% del suo valore nelle ultime cinque giornate di contrattazioni, è arrivato a toccare minimi intorno ai 45.000 dollari, la prima volta negli ultimi due mesi.
Attualmente il prezzo si trova in quella che potrebbe essere la prima fase di un trend discesista, dopo aver toccato il 14 marzo 2021, il suo massimo storico a quota 64.778 dollari. È poi tornato seguendo un ciclo a 29 giorni a un massimo relativo intorno ai 59.400 dollari, per superare con una volatilità piuttosto marcata il minimo a 45.000 dollari arrivando fino ai 42.200 dollari.
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Questa settimana sarà decisiva per capire fino a che punto il suo prezzo verrà sostenuto dagli investitori. Con un ritorno delle sue quotazioni vicine agli ultimi livelli, dove sono stati innescati la maggior parte degli ordini di stop, potremmo assistere a nuovi ribassi tendenzialmente in linea con i precedenti quattro cicli di prezzo. Le aspettative in ottica ribassista, potrebbero arrivare fino a minimi intorno ai 36.700 dollari, dove gli ultimi supporti volumetrici di gennaio, avevano sostenuto i prezzi arrivando dopo circa tre mesi fino ai suoi massimi storici.
Le informazioni presenti in questo articolo non sono da intendersi come un invito all’investimento né alla speculazione.
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