“Sette mesi di ritardo ci costano una recessione”. Nei giorni scorsi Mario Draghi ha lanciato una dura accusa alla presidente della Commissione, von der Leyen.
Durante il Consiglio europeo informale avvenuto venerdì scorso a Praga si sono messe nero su bianco le responsabilità dei ritardi nell’intervento su inflazione e costi energetici.
L’intervento di Draghi è stato una requisitoria nei confronti di von der Leyen, ma anche una critica indiretta alla Germania che ha indebolito a causa delle sue opposizioni, la capacità comune del mercato unico di difendersi.
L’Italia non chiede “sovvenzioni, ma capacità di prendere a prestito”, avrebbe detto Draghi. Nei sondaggi le imprese italiane con almeno 50 addetti si dimostrano più pessimiste nel rispondere alle domande di Banca d’Italia. L’istituto ha intervistato le PMI sulle prospettive economiche del prossimo trimestre rispetto ai tre mesi precedenti. Le tre questioni più importanti sono l’incertezza politica, e l’aumento dei costi soprattutto quelli dell’energia.
La crisi dell’energia provocata dalla guerra in Ucraina è stata gestita fin ora sulla base di un solo principio: proteggere la Germania dalle conseguenze più gravi. La principale economia europea è il volano dell’Ue ed è perciò ragionevole proteggerla per proteggere l’Unione.
Le scelte della Commissione sono state “dettate” da Berlino e sembra che spesso le proposte della Commissione siano state almeno in parte anche scritte a Berlino. Tutto è andato bene fino a quando il governo di Olaf Scholz ha annunciato il suo piano da 200 miliardi di euro per aiutare le famiglie e le imprese tedesche, introducendo di fatto un price cap nazionale su gas ed elettricità, negandolo però a livello comunitario.
La schiacciante maggioranza delle imprese italiane pari al 77,9% ritiene che la situazione attuale sia peggiore rispetto al trimestre precedente. Le imprese sono divenute più pessimiste proprio per il peso delle difficoltà legate al costo dell’energia. Queste interessano il 31,2% delle aziende, quasi raddoppiato rispetto al trimestre precedente.
Rimane, stabile invece la quota di aziende coinvolte da problemi di approvvigionamento di materie prime; la diffusione è pari al 60% nell’industria e nei servizi e circa l’85% nelle costruzioni. Per tutti questi motivi l’aspettativa è una riduzione degli investimenti non solo per la contrazione dei consumi ma anche per la stretta creditizia. Il 21% delle imprese ha visto peggiorare le proprie condizioni di accesso al credito, quasi il 10% in più del trimestre precedente. La propensione agli investimenti è arrivata al livello minimo registrato a inizio 2020, durante la prima diffusione della pandemia.
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