Si spara in tutto il mondo. Teatro di duri scontri anche il confine Armenia-Azerbaigian, il numero delle vittime è alto, 135 militari hanno perso la vita nel corso dei combattimenti.
Aleggia lo spettro del gas su di una guerra dalle radicate radici. Un confine, quello tra i due Paesi, storicamente rovente.
Sette giorni di durissime battaglie ai confini tra Armenia e Azerbaigian, gli uomini che hanno perso la vita son tanti, i due Paesi ora piangono.
Per fortuna tra Azerbaigian e Armenia è già cessate il fuoco, questo non molte ore dopo lo scatenarsi della battaglia, esplosa con l’avanzare degli azeri in territorio armeno.
Le due ex repubbliche del Caucaso, come ha riferito la Tass, hanno pattuito una tregua nei territori degli scontri: “Dopo le misure di risposta adottate dalle forze armate azere, le parti hanno concordato un cessate il fuoco dalle 09:00 ora locale (08:00 ora di Mosca). Allo stesso tempo, la parte armena ha violato questo accordo, ma dalle 09:15 (08:15 ora di Mosca) è stato installato il cessate il fuoco”.
I due Stati perpetuano nella storica controversia per il dominio della regione del Nagorno-Karabakh, per la quale si son combattute già altri due violentissimi conflitti in anni precedenti.
L’Armenia nel corso della giornata di ieri ha comunicato come il conto dei suoi militari caduti al confine con l’Azerbaigian sia salito a circa 135. A rilasciare la dichiarazione è stato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan nel corso di un meeting di gabinetto, seguito a uno dei più gravi incidenti bellici post 2020.
Stando al ministro non si tratterebbe ancora di una cifra complessiva. Intanto è partita anche la conta dei feriti.
Osservando l’episodio si potrebbero notare non pochi punti di contatto con il conflitto che infiamma alle porte dell’Europa: in effetti uno dei due Paesi, con ogni probabilità l’Azerbaigian, ha sferrato per primo l’offensiva in terra armena, un assalto su larga scala con raid aerei sia su installazioni militari sia su complessi civili, con inclusi droni e artiglieria.
Nella giornata del 13 settembre hanno perso la vita 105 i militari armeni. Anche i civili pagano a caro prezzo lo scontro. Molto i feriti.
A essere perlopiù e purtroppo interessate dalle battaglie le città di Goris, Sotk e Djermouk in Armenia, e i territori azeri di Dashkesan, Kelbajar e Lachin.
L’unica buona nuova è che il cessate il fuoco sia arrivato solamente dopo 72 ore dall’esplosione della prima bomba, registrando l’approvazione della comunità internazionale, con in prima fila le Nazioni Unite, gli Usa e la Turchia (non proprio spettatrice disinteressata).
Proprio il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, tramite Twitter, pubblica il suo plauso a favore di questa tregua tra i due Paesi, impegnandosi e promuovendo, a nome degli Usa, un domani ricco di pace e prosperità per i territori del Caucaso meridionale.
La preoccupazione, ovviamente, è che la tregua pattuita sia troppo labile, e che, per dirla in poche parole, si torni a sparare. Del resto nella vicenda si intrecciano i destini, le volontà e le brame (palesi e no) di diversi protagonisti: Usa, Russia, Turchia, Ue.
Il territorio conteso (ormai da decenni) è quello di Nagorno-Karabak, una regione separatista interna all’Azerbaijan, dove la gran parte degli abitanti è armena. L’Azerbaijan esorta l’Armenia a riconoscere la sua sovranità sulla regione, così come stabilita dai confini internazionalmente ufficiali, parimenti l’Armenia vorrebbe più rassicurazioni circa l’indipendenza dei suoi connazionali nel territorio suddetto.
Nel mezzo, ecco il mediatore al momento meno opportuno, la Russia: alleato storico degli armeni, che rientra nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, malgrado serbi ottime relazioni anche con gli azeri, essenziali grossisti di materie prime.
Stando a molti addetti ai lavori e geopolitici, sembrerebbe che l’Azerbaijan stia giovando dell’attuale contesto gobale per indurre l’Armenia ad accogliere un trattato ai propri dettami.
Del resto, la situazione degli azeri pare davvero sia invidiabile (dalla loro prospettiva), con la Russia impegnata nel conflitto in Ucraina e con l’evidente soggezione europea rispetto all’export energetico dell’Azerbaijan. Gli azeri potrebbero anche azzardare pressioni per ricevere maggiori sussidi internazionali.
Ed è qui che si gioca la partita. Considerando le sanzioni inflitte alla Russia e il conseguente taglio del gas imposto dal Cremlino, l’Ue pare non possa fare a meno gas azero (assieme a quello proveniente dall’Algeria) diviene elemento fondamentale per fronteggiare la controffensiva russa.
La risposta dell’Unione Europea sarà fondamentale.
Ovviamente, a rigor di etica, non dovrebbero applicarsi due pesi e due misure, come ben ribadisce anche Gegham Stepanyan, garante civico dei diritti umani per la Repubblica dell’Artsakh, l’enclave di etnia armena del Nagorno-Karabakh.
Stepanyan ha messo in evidenza come la crescente soggezione energetica degli occidentali da questo territorio stia forgiando un “doppio standard” rispetto al lavoro per fendere i ricavi dei combustibili fossili di cui Putin si è servito per sovvenzionare la sua campagna sanguinaria in Ucraina.
Stepanyan è lapidario: “Purtroppo, quando si tratta di aggressione dall’Azerbaijan, vediamo attori internazionali astenersi dal fare dichiarazioni mirate e applicare sanzioni”.
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