La parola ‘anatocismo’ deriva dal greco anà (di nuovo) e tokòs (interesse) e costituisce un particolare meccanismo di calcolo degli interessi maturati, su quelli legati a un debito. Nella nostra legge è permesso oppure no?
Le parole e i concetti usati nel campo dell’economia e del diritto possono talvolta risultare di difficile comprensione per il comune cittadino. In verità, con un po’ di attenzione e di tempo a disposizione, scoprire quali sono i significati e perché hanno importanza nella vita di tutti i giorni, non è operazione così impegnativa.
Di seguito vogliamo fare chiarezza su un termine tipico degli ambienti bancari e dei rapporti di credito-debito: ci riferiamo all”anatocismo bancario‘, ovvero un concetto di antichissima origine e di cui si trova traccia anche nel diritto romano. A quell’epoca era vietato ed anche oggi è limitato dal legislatore, in virtù di specifiche regole che bisogna rispettare e di cui daremo conto nel corso di questo articolo. Ma nel tempo ci sono state novità rispetto al quadro del codice civile, che hanno influito sull’applicazione del meccanismo.
Che cos’è l’anatocismo bancario? Perché è importante sapere come funziona? Scopriamolo insieme.
Che cos’è l’anatocismo bancario?
L’anatocismo bancario sta a significare l’operazione con la quale:
- la banca aggiunge alla somma capitale di un proprio credito gli interessi su di esso maturati,
- per poi prendere detto importo totale come base per calcolare nuovi interessi sullo stesso.
Ecco perché nel linguaggio degli operatori di banca gli interessi anatocistici sono detti “interessi composti“: in altre parole, gli interessi già maturati divengono un vero e proprio capitale, al quale sono applicati di seguito interessi supplementari.
E’ chiaro che il debitore, con l’applicazione di questo meccanismo ‘a cascata’, sarà costretto a versare di più alla banca ed è di fatto penalizzato.
Pensiamo ai classici casi della sottoscrizione di un contratto tra banca in veste di creditore e una persona fisica o giuridica in veste di debitore – ad es. il deposito o il mutuo. Ebbene, si tratta di tutti quei casi in cui è in gioco un’obbligazione pecuniaria. Con quest’ultima ci si riferisce alle obbligazioni aventi per oggetto una somma di denaro, il cui adempimento, con effetto liberatorio per il debitore, si concretizza nel pagamento al creditore della somma dovuta. In queste circostanze il ‘rischio’ dell’anatocismo sussiste.
In Italia l’anatocismo e l’interesse anatocistico sono regolati anzitutto dall’art. 1283 del codice civile che di fatto pone uno sbarramento al meccanismo. Al primo comma si trova scritto che i “crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”. Ma, come vedremo più avanti, al di là del dato del codice civile sono stati diversi i contributi nel corso del tempo, che hanno aiutato a capire se e in quali limiti l’anatocismo vale in Italia.
Anatocismo bancario: cosa implica per il debitore?
Detto calcolo degli interessi su quelli passivi per il debitore determina conseguenze non di poco conto, ovvero:
- il pagamento non solo del capitale o del debito da saldare (pensiamo ad es. ad un mutuo) e degli interessi concordati in un primo tempo,
- ma anche ulteriori interessi calcolati su quelli già scaduti e quantificati, producendo così una crescita del debito esponenziale.
E’ chiaro allora che l’applicazione dell’anatocismo gioca a sfavore del debitore, che dovrà pagare di più all’istituto di credito. Vediamo se detto meccanismo può davvero ritenersi legittimo in base alla legge.
È legale applicare l’anatocismo bancario?
Negli ultimi anni la situazione in materia è stata caratterizzata da molto dinamismo e perciò occorre fare alcune precisazioni molto importanti. Non sono ovviamente mancate le cause tra debitori e banche, e fino a qualche anno fa la principale difesa degli istituti di credito nelle cause di anatocismo bancario era rappresentata dalla pubblicazione dell’adeguamento alla delibera CICR nella Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 2020.
La delibera citata nacque a costituire una sorta di legittimazione del fenomeno anatocistico, quasi a voler sanare e convalidare una prassi che vedeva in atto un forte squilibrio tra le parti del contratto. Di fatto il documento era una deroga rispetto al divieto previsto dalla legge, pur sottoponendo l’ok all’anatocismo ad obblighi di comunicazione da parte della banca e di accettazione da parte del correntista.
In verità la prassi dei tribunali fece un’applicazione molto ‘larga’ della delibera favorevole all’anatocismo, tanto da portare alla convinzione sbagliata per cui l’anatocismo successivo al 2000 non potesse essere contestato, e che la citata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale fosse sufficiente a rendere legittimo un meccanismo vietato dall’art. 1283 c.c.
Il nuovo quadro dopo la sentenza della Cassazione n. 9140 del maggio 2020
Moltissimo è cambiato con una pronuncia della Suprema Corte del 2020, la quale ha sancito l’illegittimità dell’anatocismo bancario, al di là della citata delibera. Facendo riferimento ad un mutato quadro normativo, frutto anche dell’attività della Consulta – contraria all’applicazione dell’anatocismo – la sentenza ha abbattuto questa sorta di ‘tutela’ per le banche, che applicavano gli interessi composti a loro favore.
Concludendo, la Suprema Corte è giunta dunque a chiarire che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della delibera suddetta non basta a legittimare l’anatocismo bancario. Serve infatti una pattuizione ad hoc e perciò l’illegittimità dell’anatocismo sussiste fino al momento in cui le parti non abbiano regolato la questione con un nuovo contratto.