Il nuovo catasto, sulla cui fattibilità pesano i compromessi politici, vedrà la luce nel 2026.
Tra le novità possibili l’assenza di correlazione con i prezzi di mercato, consentendo solo dall’archivio del singolo immobile i valori dell’osservatorio del mercato immobiliare.
Questi comprendono in un range i prezzi degli immobili in base alla zona residenziale; impossibili da utilizzare ai fini fiscali per adeguare la tassazione. Sembra tramontata poi l’ipotesi di un archivio basato sui metri quadrati, più aderente alla realtà del vecchio criterio dei vani catastali.
Tutto il nuovo della riforma sembra concentrare la sua portata sulla caccia alle “case fantasma”. L’obbiettivo è quello di rendere gli enti locali più agili nell’eseguire controlli sul territorio al fine di recuperare gettito dall’evasione. In questo modo i comuni saranno incentivati a verificare in concreto consistenze di terreni e fabbricati, ma anche il corretto classamento e accatastamento.
Il testo dell’accordo sul nuovo catasto è frutto quindi di una mediazione che in termini di imposte affiancherà agli attuali valori un’ulteriore rendita; di fatto si terrà conto di zone territoriali omogenee all’interno di uno stesso territorio comunale, un’operazione già realizzata in alcuni comuni con la revisione delle cosiddette “zone censuarie”.
Sarà possibile poi una rideterminazione d’uso catastale distinguendo gli immobili in categorie ordinarie e speciali superando le attuali categorie A1, A2, A3 ovvero signorile, civile, economica. Le nuove categorie saranno invece comprese in due macro gruppi: gli immobili abitativi e quelli industriali-commerciali.
Il terzo criterio per la ridefinizione delle imposte si rifà a quella che tecnicamente viene definita unità di consistenza, che coincide con il “vano catastale” per le abitazioni e i metri quadrati o cubi per le altre tipologie, come i fabbricati industriali.
Un ultima novità presente però nel testo del decreto Aiuti riguarda invece i comuni in dissesto finanziario. Questi avranno la possibilità di ricorrere a un aumento dell’Irpef qual ora abbiano un disavanzo pro capite superiore ai 500 euro, una possibilità che si accompagna a quella di tagliare spese, di aumentare i canoni delle concessioni e degli affitti.
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