Capi colorati che costano di più? Cosa si nasconde dietro al sovrapprezzo: ciò che i marchi non raccontano ma che influenza il nostro ecosistema
L’industria tessile ha tanti segreti, ma per fortuna nel mondo iper-connesso scovare notizie interessanti sui retroscena della produzione dei capi che indossiamo non è più azione laboriosa e difficile. Quando si acquistano capi colorati si va a pagare un sovrapprezzo. Sempre. Ciò che è curioso, non è tanto il fatto di dover tirare fuori quella moneta in più rispetto ai capi bianchi o con toni neutri, bensì il perché che si nasconde dietro tutto ciò.
Indossare capi colorati è un modo per trasmettere energia, originalità e stile, è un dato di fatto: il colore è espressione ed emozione. C’è chi preferisce il total black e chi invece ama esprimere se stesso con colori sgargianti. Ciò che si nasconde dietro questi colori accesi è interessante e al tempo stesso lugubre, questo il motivo principale per cui le aziende non parleranno mai del surplus inserito nel prezzo, e di riflesso non daranno informazioni a riguardo.
Le passerelle della fashion week sono spesso un tripudio di tinte vivaci che attira chiunque ami distinguersi con un tocco di personalità. Ma pochi riflettono su cosa significhi, a livello ambientale e sociale, trasformare un tessuto grezzo in un capo dai colori brillanti. Dietro il fascino dei colori si nasconde in realtà un processo che lascia segni molto più profondi di quanto possiamo immaginare.
Il processo di colorazione dei capi: un impatto invisibile ma potente
La produzione di capi colorati richiede un processo articolato che inizia nelle enormi vasche di tintura. Si tratta di vasche all’interno delle quali il colore è sciolto in acqua e i capi vengono immersi in queste miscele chimiche a base di coloranti sintetici. Questi bagni chimici, tuttavia, non si esauriscono con il processo di colorazione: la loro strada continua e indovinate un po’ dove va a finire? Nei corsi d’acqua, contaminando fiumi e laghi di metalli pesanti, coloranti e solventi. Questo processo si attenua quando i capi hanno colori più tenui e invece diventa più incisivo nel caso di colori shock. Non è solo l’acqua a ‘soffrirne’.
La filiera crea danni anche ai lavoratori che sono esposti quotidianamente a sostanze nocive, aumentando così rischi sulla salute: malattie della pelle, psoriasi, malattie respiratorie. Questo circolo vizioso è imprescindibile se si pensa alla maggior parte delle collezioni dei brand: i colori sono sempre presenti. Si parla del 20% di inquinamento idrico globale, i dati lasciano pensare a quanto sia espanso ed invalidante il fenomeno nei confronti del nostro ecosistema terrestre. Ma le informazioni non finiscono qui.
Questo costo ‘elevato’ dei capi colorati viene ovviamente ‘nascosto’ e sparso nella collezione lanciata dal brand, in questo modo per l’acquirente è difficile comprenderlo. Quando ci si trova di fronte a un capo colorato venduto a prezzi stracciati, è lecito chiedersi quale sia il prezzo realmente pagato dall’ambiente e dalla società. E questo non è altro che uno dei tanti drammi del fast fashion. Ma allora come si può fare la differenza? Semplicemente smettere di acquistare fast fashion pensando di risparmiare.
La soluzione quindi non è smettere di acquistare capi colorati, ma scegliere con maggiore consapevolezza. Preferire capi di qualità, anche se più costosi, permette di ridurre l’impatto ambientale a lungo termine. Un cappotto giallo shock ben fatto può durare 7-8 anni, limitando la necessità di acquisti frequenti e abbattendo l’inquinamento complessivo generato. Al contrario, optare per fast fashion, dove la bassa qualità porta i capi a deteriorarsi in poche stagioni, alimenta la produzione di massa e l’inquinamento. Comprare a prezzi bassi e più spesso è una logica malata, un cortocircuito che ci hanno fatto credere ‘conveniente’, ma non conviene né all’ambiente, né alle nostre tasche.