Il sistema economico sembra arrivato a un bivio. Alta produttività, poca manodopera e allungamento dell’età lavorativa mettono alle strette il sistema.
In Italia a seguito della caduta del governo Draghi si è ripreso a parlare e proporre la settimana lavorativa breve a parità di stipendio.
Al momento il nostro mercato del lavoro rimane in termini di stipendio il peggiore in Ue. Siamo il popolo che totalizza più ore di lavoro rispetto a una retribuzione che non è solo rimasta stagnante ma è diminuita almeno negli ultimi 30 anni.
Secondo i dati OCSE, è l’unico paese europeo in cui i salari sono calati in trent’anni del 2,9%. Una differenza importante rispetto al +33,7% della Germania e al +31,1% della Francia. Si comprende meglio allora la difficoltà di milioni di famiglie oggi ma anche dell’emigrazione di migliaia di giovani qualificati ogni anno.
Investimenti ridotti e scarsa innovazione creano lavoratori sempre più poveri; anche per chi è protetto da un contratto nazionale guadagna meno di 9 euro lordi all’ora. Un salario minimo, che oggi spesso non basta a garantire uno standard di vita adeguato.
Per correre ai ripari propone con più convinzione una formula che dice; lavorare quattro giorni a settimana e guadagnare uno stipendio pieno. Al momento, sono diverse le aziende italiane che adottano, in via del tutto discrezionale, una settimana lavorativa da 36 ore anziché 40 con stipendio invariato.
Non è vero infatti che lavorando di più aumenta anche la produzione, oltre una certa soglia di lavoro è vero proprio il contrario. Tuttavia, è vero che la riduzione dell’orario lavorativo si può conciliare con un compenso della produzione solo in alcuni casi. Tanto basta però perché la proposta venga lanciata in campagna elettorale dalla compagine di sinistra. A sostenere i costi della riduzione dei margini di profitto ci sarebbe lo Stato che troverebbe le risorse dai minori contributi necessari per sostenere lo Stato sociale e la povertà dovuta all’assenza di lavoro.
Spagna; 200 aziende coinvolte nella sperimentazione della settimana lavorativa corta
Proposte analoghe si osservano in altri Paesi europei dove si sperimenta nel concreto l’effetto dell’iniziativa. Si consideri, ad esempio la Spagna: un anno fa, il governo ha avviato una sperimentazione che coinvolge circa 200 aziende. Un piccolo campione significativo di circa 3 mila lavoratori attivi 4 giorni alla settimana.
Il progetto ha durata triennale ed è garantito in larga parte da denaro pubblico; lo Stato, si impegna a sostenere i costi relativi alla transizione nella misura del 100% il primo anno, 50% il secondo anno e 33%. La scommessa è che la riduzione dell’orario incentivi non solo la produzione durante i giorni effettivi, ma anche i consumi nel tempo libero. Oltre questo si riduce lo stress e si migliora una parte importante della salute.
La possibilità che la proposta venga estesa anche all’Italia dipenderà dalla volontà dei Paesi europei di estendere il nuovo regime alla propria economia. Da qui visti gli effetti una proposta sovvenzionata dall’Unione europea potrebbe portare alla sua implementazione anche in Italia. In ogni caso si dovrà quindi attendere lo sviluppo in Paesi che per il momento hanno un maggior margine di spesa.
Sebbene il caso europeo dia segnali positivi in questa direzione, la storia insegna che ogni paese è un caso a sé: Per i giapponesi, che sperimentano forme di settimana breve a stipendio pieno, l’esperimento ha funzionato. Tuttavia, il sostegno iniziale deve essere bilanciato e sostenuto in larga parte a debito.