Non è sempre questione di merito o di anzianità. A volte, tutto dipende da una virgola in un decreto. E quando le cifre in gioco toccano i 300 euro al mese, l’interesse si accende, i commenti si moltiplicano, e le aspettative si alzano.
Ma c’è un dettaglio che pochi conoscono e che può fare tutta la differenza. E se ti dicessi che solo alcune categorie di dipendenti pubblici potranno davvero festeggiare? E che tutto ruota attorno a una singola condizione che potrebbe trasformare una promessa in un miraggio?
Immagina un impiegato comunale, che ogni giorno affronta la burocrazia, le richieste dei cittadini, le difficoltà di organico. Poi arriva la notizia: aumenti fino a 300 euro al mese. Una boccata d’aria fresca, verrebbe da pensare.

Ma l’entusiasmo si frena subito: questi aumenti non sono per tutti. Dipendono da un dettaglio cruciale che pochi conoscono e che potrebbe fare la differenza tra un sì e un no. Non basta lavorare nel pubblico impiego, serve molto di più. Serve anche che i conti del tuo ente siano in regola. E allora, chi davvero potrà beneficiarne?
Aumenti per i dipendenti pubblici: solo per chi lavora negli enti locali virtuosi
La novità è contenuta in un emendamento al decreto P.A., approvato il 17 aprile. L’obiettivo è quello di innalzare il fondo delle risorse decentrate e le posizioni organizzative fino al 48% della spesa complessiva per il personale nel 2023. Questo si traduce in un possibile incremento di stipendio per i dipendenti pubblici che lavorano in Comuni, Province, Regioni e Città Metropolitane. Ma attenzione: la misura non è finanziata dallo Stato. Ogni ente dovrà trovare le risorse nel proprio bilancio.

Questo vuol dire che solo chi lavora in enti locali in buona salute finanziaria potrà vedere un aumento. Camere di Commercio, Unioni Comunali e altri enti affini sono invece esclusi dalla misura. Ecco quindi che si apre una disparità tra lavoratori pubblici, con alcuni che beneficeranno del provvedimento e altri no, anche a parità di ruolo e competenze.
Un’opportunità che divide: tra bilanci virtuosi e rischi occupazionali
La misura risponde a richieste storiche di enti e amministratori locali, che da tempo chiedevano di superare il tetto previsto dal D. Lgs. 75/2017. Aumentare gli stipendi nel pubblico locale vuol dire trattenere personale qualificato e migliorare i servizi. Ma dall’altra parte i sindacati, in particolare la Cgil, mettono in guardia: aumenti non uniformi potrebbero generare nuove diseguaglianze e ridurre la possibilità di assumere nuovo personale.
Ora si attende l’entrata in vigore della legge di conversione. Solo allora si potrà dire se questa novità sarà davvero un passo avanti per la valorizzazione del lavoro pubblico o solo un’opportunità riservata a pochi.